Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  febbraio 17 Lunedì calendario

Strategia e finanziamenti di Bloomberg

 “Ossessione Bloomberg”, titola il sito Politico. Un miliardario liberal è l’ultima speranza per cacciare dalla Casa Bianca un miliardario di destra? O al contrario è una sciagura, una prova di subalternità, se la sinistra rincorre Donald Trump provando a sostituirlo con una specie di sosia? L’ex sindaco di New York, uno degli uomini più ricchi d’America, domina l’attenzione dei democratici e dei media. Nel weekend la stampa americana ha concentrato l’attenzione su di lui. Un ampio reportage del New York Times ricostruisce la “scia di soldi” con cui l’imprenditore-mecenate ha finanziato nell’ultimo decennio tutte le cause progressiste (ambientalismo, restrizioni alle armi, diritti dei gay), fino a insinuare il sospetto che con quello tsunami di miliardi abbia comprato la benevolenza del partito e il silenzio di alcuni ex oppositori. Bloomberg ha raggiunto il record delle sue donazioni nel 2019, l’anno in cui si è candidato: 3,3 miliardi di dollari. Gran parte sono andati in filantropia ma anche questo canale può servire a generare consenso: tra i beneficiari delle donazioni crescono le ong impegnate per le minoranze etniche e non è passato inosservato l’appoggio di leader religiosi afroamericani all’ex sindaco. Cento milioni Bloomberg li ha spesi soltanto per le campagne elettorali altrui, per aiutare il partito democratico a riconquistare la maggioranza alla Camera. Quattrocentoquaranta milioni li ha spesi per la propria campagna, ma ha promesso di investirne molti di più per sconfiggere Trump, sostenendo chiunque sarà il candidato finale. La mappa del New York Times sulle sue donazioni si può leggere come la geografia della gratitudine verso Bloomberg.
Il Washington Post si concentra sulle critiche di cui Mike continua a essere il bersaglio: rivanga i suoi commenti scettici sul movimento femminista #MeToo, più le polemiche sulla discriminazione razziale della polizia newyorchese quando lui era sindaco. La pagina dei commenti del Wall Street Journal è piena di analisi sui pro e i contro di questa candidatura. E qualcuno comincia perfino a speculare su chi sarebbe il vicepresidente di Bloomberg: spunta il nome di Hillary Clinton.Una delle ragioni di tanta curiosità va cercata nel calendario. Questo mercoledì 19 per la prima volta Bloomberg esce da una candidatura “virtuale” e partecipa a un dibattito televisivo con gli altri candidati alla nomination democratica. Per la prima volta gli americani vedranno come gli riesce il test del duello diretto; dopo aver visto da molte settimane un Bloomberg solitario, pubblicizzato negli spot televisivi che hanno preparato la sua candidatura. Nota importante: in quegli spot un tema dominante è il buon rapporto fra Bloomberg e Barack Obama, un modo per “appropriarsi” dell’eredità dell’ultimo presidente democratico, ancora popolare nella base, ma spesso attaccato dall’ala sinistra del partito. Il vero test per Bloomberg comunque sarà un altro, fra due settimane esatte. Dopo avere saltato le primarie dell’Iowa e del New Hampshire, salta anche quelle del Nevada (22 febbraio) e del South Carolina (29 febbraio), ma il suo nome appare nelle schede il Supermartedì 3 marzo. Cioè quando votano i mega-Stati come California e Texas, più una miriade di altri, e si assegna un bottino di ben 600 delegati. Allora vedremo se davvero Bloomberg è un candidato forte, in grado di piazzarsi nel trio di testa, con il socialista Bernie Sanders e la rivelazione Pete Buttigieg.
Ossessione Bloomberg, oltre che per i media vale per gli altri candidati. Tutti hanno sparato a zero su di lui in queste ultime ore, quasi sempre attaccandolo su quella che è al tempo stesso la sua forza e la sua vulnerabilità: il denaro. Sanders inonda le caselle email degli elettori con un appello: «Basta con la democrazia corrotta dai miliardari, finanziate me che accetto solo piccole donazioni». Si calcola che su Facebook la campagna di Bloomberg abbia speso il 1200% in più di quella di Sanders. D’altra parte una delle ragioni che hanno spinto l’ex sindaco di New York a rompere gli indugi e a scendere in campo è proprio il timore che una nomination del radicale Sanders sfoci in una débâcle il 3 novembre, allontanando dai democratici l’elettorato moderato.
La questione della ricchezza fa da sfondo anche al duello fra i due miliardari. Pure Trump sta cominciando a prendere di mira in modo sistematico Bloomberg, forse convinto che le sue chance di vincere la nomination sono in rialzo. «Piccolo Mike, avrai bisogno di uno sgabello per non sfigurare nei dibattiti»: come spesso fece in passato, Trump affibbia un difetto fisico all’avversario per ridicolizzarlo. Bloomberg è più piccolo di lui di statura, in compenso è un gigante come imprenditore, dall’alto dei suoi 60 miliardi vale almeno 30 volte il palazzinaro della Casa Bianca. E glielo manda a dire, con questa replica velenosa via Twitter: «Donald, tu ed io frequentiamo le stesse persone a New York. Dietro le tue spalle ridono di te come di un clown che abbaia a Carnevale. Sanno che hai ereditato dal papà una fortuna e l’hai dilapidata con la tua incompetenza». Bloomberg farà proprio della sua efficienza manageriale uno degli argomenti forti della campagna. Ma dall’ala sinistra del partito si leva un fuoco di sbarramento: la democrazia americana non può essere messa in vendita al migliore offerente, un’asta competitiva tra due miliardari è uno spettacolo abominevole, alimenta cinismo e allontanerà molti dalle urne.