La Stampa, 17 febbraio 2020
I marmisti che curano le statue del Duomo di Milano
Sembra di entrare in un cimitero, uno di quelli abbandonati di montagna, con i muri non troppo alti e il silenzio tutt’intorno. Il colpo d’occhio è inquietante, ma pieno di fascino. Sulla destra un migliaio di statue, a sinistra altrettanti ornamenti di ogni tipo: paramidine, fiocchi, bassorilievi. È difficile persino camminare tra un elemento e l’altro, tanto sono vicini. A molte di queste opere secolari manca il naso, altre hanno i piedi troncati, tutte sono ingrigite e ricoperte di una patina nera che fa dimenticare il famoso e tipico colore bianco-rosa del marmo Candoglia, «il più bello a disposizione» ai tempi di Gian Galeazzo Visconti, che nel 1387 autorizzò la costruzione del monumento che per circa 700 anni ha ospitato tutte queste opere ormai in pensione: il Duomo di Milano. Da molti secoli il grande simbolo della città lascia un pezzo di sé qua dentro.
Il piccolo "cimitero" somiglia più, in realtà, a un archivio, un portfolio delle 3400 statue, 200 bassorilievi, 135 guglie e 96 doccioni di cui la cattedrale è composta: è il Cantiere Marmisti della Veneranda Fabbrica del Duomo, attiva nella costruzione prima e nella manutenzione poi della chiesa. Quasi nessuno degli oltre due milioni di turisti che ogni anno la visitano conosce questo posto. «Due volte l’anno facciamo una ricognizione di tutta la struttura, aggiorniamo i piani triennali di mantenimento e decidiamo cosa va restaurato e cambiato. Quello che ha bisogno di essere riparato o sostituito, viene portato qui, in questo magazzino che è il frutto di un’idea che la Veneranda Fabbrica ebbe ormai moltissimi anni fa. E cioè, custodire ciò che è appartenuto al Duomo trattando queste statue e questi ornamenti, che sono rimasti all’acqua, al sole o al ghiaccio per così tanti secoli, con della pietas umana, riconoscendo loro l’aver rappresentato questa cattedrale in tutto il mondo», spiega l’ingegner Francesco Canali, da cinque anni direttore dei cantieri della Veneranda Fabbrica.
Per sostenere i costi di manutenzione (oltre 30 milioni l’anno) è stata lanciata l’iniziativa "Adotta una statua": «Volevamo dare una terza vita a queste opere, fare in modo che portassero la magnificenza del Duomo in giro per tutta la Lombardia, ricordandolo in un giardino, nella hall di un hotel o nell’atrio di un palazzo», racconta Monsignor Gianantonio Borgonovo, arciprete del Duomo e direttore culturale della Veneranda Fabbrica.
In questo archivio a pochi metri da una delle grandi arterie stradali che portano fuori città, quasi nascosto, ci sono 633 anni di storia del simbolo di Milano. Ed è qui che, oltre alle statue in pensione, ci sono anche quelle che vengono curate. Nel laboratorio lavorano diciotto operai specializzati che si servono di macchine ad altamente tecnologiche. «In passato, erano molto di più ma con l’arrivo di macchinari sempre più sofisticati molti lavori non si fanno più a mano. E poi, essendo cambiate le leggi sul lavoro, dobbiamo tutelare gli operai che non devono mettere a rischio la loro salute», chiarisce Canali. Nel laboratorio al momento stanno lavorando al restauro di due statue, quella di Santa Genoveffa e quella di San Romano, entrambe con la necessità di ricostruire una delle due mani.
«Innanzitutto si riproduce il dettaglio da ricostruire con la plastilina, su di un pannello di legno a parte», chiarisce il vicecapocantiere di tutta la struttura Marmisti, Claudio Gnesutta, da 36 anni al lavoro alla Veneranda Fabbrica del Duomo. «Poi – aggiunge – si fanno dei buchi, chiamati punti, che servono a prendere esattamente le misure e le proporzioni rispetto alla statua. È grazie all’uso di un punteruolo con tre aghi che possiamo mettere la nuova mano esattamente nella posizione in cui era quella deteriorata. È un lavoro di enorme precisione che richiede settimane».
Oltre alle statue vengono "curati" anche gli ornamenti, che nel Duomo sono migliaia e sono, in fondo, ciò che lo rende così unico rispetto a altre cattedrali del mondo. Racconta il 46 enne Alessandro Tarantino, operaio che lavora per la Veneranda Fabbrica da 20 anni: «Ho portato mia moglie al Duomo per farle vedere il frutto del mio lavoro e, non appena mio figlio sarà più grande, porterò anche lui. I milanesi non sanno che lavoro importante facciamo qua e questo è un peccato». Gli fa eco Gnesutta: «Intervenire su queste opere è una responsabilità enorme perché sappiamo bene cosa significhi il Duomo nel mondo. Ma il lavoro fatto per edificarlo e abbellirlo è curatissimo, straordinario dal punto di vista della precisione e del dettaglio: ad esempio, le statue in posizione meno esposta sono estremamente definite e anche la parte posteriore di ogni monumento è realizzata con la massima cura. Sta a noi fare in modo che sopravvivano nei secoli».