il Fatto Quotidiano, 17 febbraio 2020
Biografia di Daniele Garozzo (schermidore)
C’era quasi riuscito, lo schermidore Daniele Garozzo, a farla franca. Certo, schivare gli assalti reali di un fioretto (come quelli metaforici delle domande) è la sua specialità. Ce l’aveva messa tutta per lasciarsi inquadrare solo di profilo come quando gareggia, mostrando solo una parte di sé, quella ufficiale, la stessa che concorre – sempre con estrema onestà, sia chiaro – a nutrire l’idea dell’atleta tutto d’un pezzo e ligio al lavoro, che non a caso poi diventa anche il campione olimpico in carica (Garozzo, infatti, ha vinto l’oro nel fioretto ai Giochi di Rio 2016). “Nella scherma, per vincere” spiega, “bisogna raggiungere il giusto compromesso tra l’essere focalizzato nel momento presente e immaginare l’istante successivo”. Quasi fosse in pedana, inizia gestendo da solo l’incontro–intervista con risposte fiume in cui anticipa le domande: è uno ponderato, Garozzo! A lui, non la si fa!
Ecco, dunque, com’è di profilo: vita sana (“Vado a letto presto per recuperare le forze dopo gli allenamenti”), passando per buone abitudini e ore di allenamento. Impegnato nel sociale (“Ho devoluto il premio dell’oro di Rio all’Associazione Medici Senza Frontiere perché credo nel circolo virtuoso dei gesti di bellezza: uno ne richiama altri”). Studia medicina all’università, il poco tempo libero lo dedica ai libri e alla fidanzata Alice Volpi, collega schermitrice. È curiosissimo, ascolta gli audiolibri dello storico Alessandro Barbero e molta musica, tra tutti Cesare Cremonini. Che dire: perfetto! Salvo poi, dolcemente inciampare. E in una parola. D’altronde, in ogni narrazione c’è una parola inafferrabile, disabilitata botola che svela segreti preziosi. Una parola inciampo, che a cascata ne provoca altre, e altre, e altre.
Quando il campione Garozzo accarezza nella ricordanza i suoi esordi in Sicilia con il fratello maggiore che è sempre stato il suo punto di riferimento, è a Daniele che si spezza la voce nel pronunciare “garage”. Negli occhi verdi e grandi di questo campione, come nei flashback un po’ fané al cinema, luccica ancora il piccolo Daniele di sette anni che inizia scherma ad Acireale. “Da bambino” sorride imbarazzato, “durante il carnevale mi vestivo sempre da Zorro o da D’Artagnan. Così i miei genitori mi iscrissero in una piccola palestra dove si praticava scherma”. Subito precisa: “A dire il vero, era un garage. (Pausa) Ripenso sempre a quanto mi abbia formato quella mancanza di risorse, quel poco più di niente che mi sembrava così bello, il dovermi poi separare dalla mia famiglia perché in Sicilia non era possibile praticare la scherma a certi livelli. E ancora, imparare a cucinare, a stirare, ma soprattutto a stare da solo. Lo dico sempre ai giovani che iniziano: l’esperienza migliore per gareggiare dentro la pedana si fa fuori dalla pedana. È quando diventi uomo che puoi pensare di diventare atleta. Per me è stato così!”
Mentre dipingeva La libertà che guida il popolo, Eugène Delacroix scrisse: “La pratica di un’arte esige un uomo per intero”. Per essere il numero uno al mondo nel fioretto, Daniele ha lasciato gli affetti e rinunciato a molto. Per esempio “alla granita cioccolato e panna con brioscia” scherza, ma soprattutto “alla spensieratezza”. “Non ho rimpianti, del mio sport sono appassionato e innamorato: come rimetterei insieme i pezzi di me quando una gara non va o prendo una batosta, se con l’amore per la scherma?”.
Ora che il tempo delle chiacchiere è finito, a ben ammirarlo tornare a guizzare in pedana mentre si allena in attesa di Tokyo 2020 con ancora il riverbero del suo parlare senza rete di protezione, ecco chi è Daniele Garozzo: un vispo grillo, di quelli che avrà ascoltato da bambino nelle sere d’estate. Per gli etologi, ogni grillo maschio canta con un proprio ritmo e una propria nota alla ricerca, paziente e speranzosa, di quel grillo femmina che saprà rispondere a tono, duettare con lui e finalmente amarlo. La stessa pazienza, la stessa speranza, lo stesso amore battono nel cuore del grillo azzurro della scherma.