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 2020  febbraio 17 Lunedì calendario

Aumenta l’anoressia maschile

«L’anoressia maschile può fare anche più paura di quella femminile. Perché colpisce generalmente le donne e diagnosticarla è più difficile». Lo psicologo Luca Provenzano con un team di ricercatori del Dipartimenti di Psicologia della Sapienza di Roma e del Laboratorio di Neuroscienze sociali della Fondazione Santa Lucia IRCCS ha appena messo in campo un nuovo strumento per comprendere i meccanismi percettivi, cognitivi ed emotivi alla base di questo disturbo: la realtà virtuale «perché – spiega il ricercatore – chi è malato si vede attraverso uno specchio deformato». 
Perché ci si ammala di anoressia?
«Questo è impossibile da dire. Le cause possono essere molteplici, e non c’è una formula matematica. Il nostro obiettivo era quello di indagare le singole componenti alla base della distorsione dell’immagine corporea nell’anoressia Nervosa».
E cosa avete riscontrato?
«Un comune denominatore importante: messe a confronto con corpi evidentemente più grandi e più grassi del loro, tutti si sentivano più grassi dell’avatar ingrassato. Una realtà evidentemente distorta, una specie di lente deformata con la quale vedersi. L’anoressia ha uno standard ideale di magrezza inaccettabile, è chiaro quindi che gli aumenti di peso vengono accolti dai pazienti con reazioni emotive molto forti, di grande disagio, per alcuni di loro inaccettabili». 
L’anoressia è associata alla depressione?
«Non necessariamente, ma quello che posso dire è che l’anoressia è il disturbo psichiatrico con il più alto tasso di mortalità».
C’è differenza tra anoressia femminile e maschile?
«Per l’80 per cento resta una malattia che colpisce il genere femminile ma ultimamente, i casi maschili sono praticamente triplicati. In entrambi i casi si tratta di una malattia molto subdola e purtroppo, quando ci si trova di fronte a un malato di sesso maschile, la situazione è ancora più difficile».
Perché?
«Prima di tutto perché è difficile ammetterlo. Culturalmente un uomo fa più fatica ad accettare e a parlarne con lo psicoterapeuta perché resta nell’immaginario collettivo una malattia associata al genere femminile. Dunque l’uomo se ne vergogna. E gli specialisti tendono a diagnosticare il disturbo più spesso se si tratta di una donna». 
Quali sono i segnali che dovrebbero mettere in allarme?
«Se in un mese si perdono dieci chili sicuramente non è un buon segno. Spesso queste persone ricorrono a ristrettezze alimentari, il ritiro sociale poi è spesso collegato. All’invito in pizzeria iniziano a parlare di intolleranze appena insorte. La sofferenza emotiva e il disagio sono spesso alleate. E poi il cambio dell’armadio. Nascondere il proprio corpo con vestiti ampi».
Come si cura?
«Spesso i percorsi sono molto lunghi. Accanto alle cure farmacologiche ci sono percorsi di psicoterapia, personal trainer, in alcuni casi una sorveglianza giorno e notte. Cure costose, che non sempre tutte le famiglie si possono permettere. E lo Stato arriva fin dove può».