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 2020  febbraio 16 Domenica calendario

Il marchingegno d’Anticitera

Nella primavera del 1900 un gruppo di pescatori di spugne greci scoprì lungo le coste dell’isoletta di Anticitera, a metà strada tra il Peloponneso e Creta, il relitto di una nave naufragata duemila anni prima. Nel corso dei mesi successivi la nave restituì agli scopritori il suo ricco carico: «vasi, frammenti di sculture e altre cose», come scrissero i giornali. Inizialmente furono soprattutto i frammenti di un bellissimo Efebo a destare interesse, ma in seguito ci si accorse che tra le «altre cose» ce n’era una sorprendente: un insieme di pezzi di metallo corrosi, con iscrizioni di carattere astronomico, che sembravano comporre un meccanismo a ingranaggi – qualcosa di mai visto e di inconcepibile fino ad allora. 
Le prime interpretazioni dello straordinario reperto furono alquanto superficiali: qualcuno, posticipando di secoli la data del naufragio, pensò a un astrolabio, che era l’unico strumento astronomico noto del mondo antico, attestato però solo a partire dal IV secolo d.C. Questa rimase la teoria dominante per mezzo secolo, fino a che, nel 1958, non comparve sulla scena un giovane fisico inglese appassionato di storia della scienza, Derek de Solla Price (oggi famoso anche per aver introdotto il termine Big Science e inaugurato gli studi scientometrici). Price analizzò in dettaglio i vari pezzi del meccanismo e riuscì a capire finalmente come andavano assemblati. Da un attento esame delle ruote dentate e dei loro rapporti concluse che il congegno simulava i movimenti del Sole e della Luna: era insomma un «calcolatore» meccanico dei moti celesti. 
In anni più recenti, analisi strumentali estremamente sofisticate hanno permesso – grazie al concorso di svariate competenze: fisica, archeologia, paleografia, storia della scienza ecc. – di correggere e perfezionare il lavoro di Price, ricostruendo in maniera pressoché definitiva il funzionamento del meccanismo. Uno dei protagonisti di queste ricerche, lo statunitense Alexander Jones, racconta ora la storia della macchina di Anticitera in un libro avvincente e ricco di informazioni, corredato di splendide fotografie dei frammenti del congegno. 
Com’era fatta la macchina e a che cosa serviva? Nella sua configurazione originale era una scatola di legno con due facce in bronzo: sulla faccia anteriore c’era un quadrante circolare con un sistema di lancette; su quella posteriore una scala graduata a spirale con tre quadranti più piccoli. Il tutto era azionato da una manopola laterale, che metteva in moto un complesso sistema di ingranaggi dentati. Il meccanismo svolgeva numerose funzioni: non solo riproduceva i moti del Sole, della Luna e dei pianeti, ma permetteva anche di prevedere le eclissi solari e lunari, e di seguire vari cicli cronologici. Un punto interessante, evidenziato da Jones, è la stretta corrispondenza tra queste funzioni e gli argomenti trattati in un’opera astronomica del I secolo a.C., l’Introduzione ai fenomeni di Gemino. Ciò induce a pensare che la macchina avesse una finalità essenzialmente educativa e culturale: che servisse a favorire «la diffusione dell’astronomia presso gli studenti di filosofia e i membri delle élite colte», esemplificando in maniera concreta un’immagine dell’universo come sistema soggetto a princìpi di regolarità. 
«Così profondamente diverso e strano da essere quasi impossibile»: fu questa l’impressione che fece a Richard Feynman, nel 1980, il meccanismo di Anticitera, esposto al Museo Archeologico di Atene. La prima idea che venne in mente al grande fisico, e che viene in mente a chiunque guardi quei frammenti, è che si trattasse di «una qualche forma di falso». A ben pensarci, però, è un’idea che non ha molto senso. I falsari non realizzano opere apparentemente impossibili, bensì opere possibili, che si inseriscono (o perlomeno tentano di inserirsi) con naturalezza in un’epoca o in un ambiente culturale: opere che ci aspetteremmo, e persino spereremmo, di scoprire. 
Non è il caso del congegno di Anticitera, che sembra provenire da un altro mondo (e non si contano, in effetti, le fantasie pseudoscientifiche cui ha dato luogo). Ma Jones dimostra che lo strumento è in realtà figlio del suo tempo, perfettamente inscritto «nel contesto delle complesse invenzioni meccaniche greco-romane». Certo, è un oggetto unico, molto più avanzato di tutti i dispositivi meccanici per l’astronomia descritti nei testi greci e latini che conosciamo, ma «i suoi costruttori appartenevano senza dubbio a quella tradizione artigianale che ci hanno tramandato i manuali di meccanica antica». 
Una delle fonti più autorevoli sull’esistenza di dispositivi di tal genere è Cicerone, il quale parla in varie occasioni di una sphaera costruita dal filosofo stoico Posidonio di Apamea, che forse aveva visto di persona durante il suo viaggio in Asia Minore, tra il 79 e il 77 a.C.: non un semplice globo, ma un meccanismo che riproduceva i moti dei corpi celesti per mezzo di un singolo movimento rotatorio – qualcosa di molto simile allo strumento di Anticitera. La nave che trasportava il congegno naufragò più o meno in quegli anni, sulla rotta dall’Egeo al Mediterraneo Occidentale.
La tentazione di immaginare che il prezioso oggetto fosse una versione perfezionata della sphaera di Posidonio, destinata proprio a Cicerone, è forte (e Price non si trattenne dall’ipotizzarlo). Ma, indipendentemente dall’identità del suo costruttore e del suo destinatario, la macchina di Anticitera è una testimonianza straordinaria, e per il momento unica nel suo genere, di una civiltà scientifico-tecnologica ricchissima, di cui sono giunte fino a noi solo poche vestigia.