https://www.lettera43.it/estratto-di-fondazioni-3-0-di-andrea-greco-e-umberto-tombari/, 12 febbraio 2020
Estratto di "Fondazioni 3.0" di Andrea Greco e Umberto Tombari
Sono passati ormai 30 anni dalla legge Amato che generò le fondazioni di origine bancaria. Il libro Fondazioni 3.0, edito da Bompiani e scritto da Andrea Greco e Umberto Tombari, prova a spiegare che cosa sono questi enti, oggetto misterioso e spesso poco conosciuto ai non addetti ai lavori. Ma non solo. L’obiettivo dell’opera è anche quello di immaginare il ruolo che questi “corpi intermedi” possono e dovrebbero svolgere nel futuro del Paese, visto che ormai la prima generazione dei “fondatori” sta lasciando del tutto le cariche ai vertici.
La copertina del libro Fondazioni 3.0
CHI È ANDREA GRECO
Gli autori di Fondazioni 3.0 sono due. Andrea Greco è un giornalista de la Repubblica dove lavora dal 2001 e dal 2016 come inviato, sui temi di finanza, risparmio e energia. Ha vinto il Premio “Giornalista dell’anno” di State Street 2013 e il premio Franco Giustolisi “Giustizia e verità” 2016. Tra le sue pubblicazioni: Lo Stato Parallelo. La prima inchiesta sull’Eni tra politica, servizi segreti, scandali finanziari e nuove guerre. Da Mattei a Renzi (con Giuseppe Oddo, 2016) e Banche impopolari (con Franco Vanni, 2017).
CHI È UMBERTO TOMBARI
La seconda firma del libro sulle fondazioni bancarie, invece, è Umberto Tombari, professore ordinario di Diritto Commerciale nell’Università di Firenze e svolge la professione di avvocato esperto in diritto societario e commerciale. È stato presidente della Fondazione CR Firenze e vice presidente dell’Associazione di fondazioni e di Casse di risparmio (Acri). Ha svolto per molti anni attività di ricerca nell’Università di Heidelberg ed è stato visiting scholar alla Yale Law School. Tra le sue pubblicazioni: Diritto dei gruppi di imprese (2010); “Potere” e “interessi” nella grande impresa azionaria (2019).
A trent’anni dalla legge Amato che le generò, e a venti dalla legge Ciampi che ne chiarì la cornice istituzionale e la…
Posted by Bompiani on Wednesday, February 5, 2020
UN ESTRATTO DEL LIBRO FONDAZIONI 3.0
Un’altra sfida, che a differenza di quelle descritte nel paragrafo sopra è pienamente delineata, riguarda il ruolo delle Fondazioni nella Cassa depositi e prestiti, di cui sono diventate azioniste con la privatizzazione del 2003. Come noto, la Cassa depositi e prestiti ha da tempo intrapreso un percorso di estensione degli ambiti d’intervento – sulla falsariga degli omologhi in Germania e in Francia – culminato nel 2015 con l’attribuzione del ruolo di “istituto di promozione nazionale”, e veicolo del piano comunitario detto “Juncker”, che ne ha rafforzato il ruolo di prima SpA pubblica operante nell’economia e nella finanza del Paese.
Un investimento, per le Fondazioni, che ha tutte le caratteristiche dell’approccio 2.0 già più volte delineato fin qui. Esso infatti risulta, e ancor più chiaramente a sedici anni dall’operazione (suggello della ritrovata concordia con il governo Berlusconi II, che mesi prima aveva cercato invano di arrivare in qualche modo a pubblicizzare le Fondazioni), come pochi altri strategico e connesso alla missione. Oltre che grandemente rilevante: il Ventiquattresimo rapporto Acri del 2019 le assegna un valore complessivo di 1,7 miliardi, anche se in base ai 24,8 miliardi di euro del patrimonio netto 2018 della capogruppo, il 15,93 per cento in capo a sessanta Fondazioni ammonterebbe a 3,95 miliardi. Il percorso di modernizzazione di quella che nacque come Cassa Piemontese – non solo da quando nel 1850 nacque per incanalare il risparmio privato nelle opere necessarie a “fare l’Italia”, ma negli sviluppi dopo la privatizzazione del 2003 – sarebbe lungo e complesso da analizzare in questa sede;5 ma oggi la Cassa è a ogni modo il principale finanziatore delle pubbliche amministrazioni italiane e il primo investitore nel Paese, con partecipazioni per trentatré miliardi di euro nelle principali società di Piazza Affari.
Qui invece interessa delineare come le Fondazioni possano interpretare al meglio il proprio ruolo nella Cdp. Due sono le declinazioni possibili del tema: I) rispetto alla natura di partner, per cui le Fondazioni operano in diversi ambiti contigui e sinergici a quelli dell’istituto di promozione nazionale, per cui sarebbe appropriata un’ottica la più costruttiva possibile; II) rispetto alla natura di azionista di minoranza. Di fatto questa seconda facoltà, non meno importante della prima per le conseguenze e gli effetti collaterali che può produrre, la si può interpretare solo “in negativo”, in aderenza ai poteri di veto e di governance che lo statuto Cdp prevede, oltre che alla moral suasion esercitabile dagli attori in gioco di volta in volta.
Le istanze collaborative tra le sessantuno Fondazioni azioniste e la Cassa depositi vennero delineate fi n dai primi passi comuni del dicembre 2003. “È un atto di fiducia […] perché siamo convinti che, pur presente da decenni a sostegno della crescita economica italiana, la Cdp di oggi potrà fare di più grazie alla sua nuova formula organizzativa, che darà modo di coniugare una maggior efficacia del suo ruolo di propulsore di sviluppo del Paese,” dichiarava l’allora presidente dell’Acri, Giuseppe Guzzetti, parlando anche di “coronamento di un percorso per estendere a livello nazionale un’attenzione alle comunità che certo non trascurerà quelle aree, in particolare il Mezzogiorno, dove le Fondazioni non ci sono o sono scarsamente presenti”. Sul tracciato iniziale, e senza bisogno di entrare nel merito quantitativo e qualitativo, nel tempo la Cassa ha effettivamente aggiunto ai tradizionali compiti di finanziamento agli enti locali e alla pubblica amministrazione un’operatività nuova in settori sempre più vicini a quelli che sono gli obiettivi istituzionali delle Fondazioni: è il caso dello sviluppo infrastrutturale, dell’edilizia sociale, del sostegno alle Pmi e alle loro esportazioni, del trasferimento tecnologico dal settore ricerca al mondo produttivo, fi no alla più recente qualifica riconosciuta dall’Unione Europea di veicolo dell’attività del Fondo europeo investimenti strategici (Feis), e di consulente per la Pubblica amministrazione nell’ottimale utilizzo dei fondi nazionali ed europei.
Detto a posteriori, una tra le migliori prove di collaborazione tra gli attori in scena è avvenuta probabilmente nell’edilizia sociale: una prassi abitativa lanciata come visto da Fondazione Cariplo, ma che nella Cassa ha trovato un volano nazionale, un investitore generoso (un miliardo il suo esborso) e l’ingegnerizzazione mediante il Fondo investimenti per l’abitare, che con una filiazione di altri fondi locali ha consentito di diffondere nel Paese l’iniziativa.
Un’altra collaborazione importante, benché meno fortunata nell’esito, è stata la creazione del Fondo Atlante, in cui nell’aprile 2016 le Cdp e le Fondazioni (anche per il tramite di alcune banche da loro partecipate) si mobilitarono per scongiurare il fallimento dei due istituti ex Popolari di Vicenza e Montebelluna. Quell’investimento, pari a 4,3 miliardi, di cui 538 milioni da parte delle principali Fondazioni, per i sottoscrittori del Fondo, si è misurato duramente con tutte le difficoltà insite in un doppio salvataggio tentato in una fase di mercato avversa ed entro un’inedita e cangiante cornice di regole di vigilanza (l’Unione bancaria) e direttive comunitarie (la Brrd che ha introdotto il bail in a carico degli investitori privati nelle banche). Certo, la messa in liquidazione della Popolare di Vicenza e di Veneto Banca, un anno dopo, ha azzerato gran parte dell’investimento, ma forse senza il sacrificio di Atlante da parte di quel comitato di crisi creato all’impronta tra governo, vigilanza, grandi istituti e Fondazioni, il sistema bancario sarebbe uscito con danni peggiori da quel duro biennio.
Ci sono poi altri casi sparsi di partnership azionarie – tra questi vanno menzionati quelli in Bonifiche Ferraresi per il rilancio di una tra le maggiori aree agricole italiane, e nel fondo di fondi F2i, pioniere degli investimenti dedicati alle opere infrastrutturali con circa cinque miliardi in gestione – dove il condominio di alcune tra le maggiori Fondazioni e della Cassa depositi ha aumentato la potenza di fuoco a disposizione, e in parallelo il bagaglio di competenze e dialettica al servizio degli organi sociali coinvolti. E un simile tracciato, guardando ai progetti in cantiere, si deve auspicare per gli investimenti nel venture capital, ad alto rischio perché la maggior parte di essi non riesce a concludere il ciclo iniziale che porta le nuove imprese a formarsi e prosperare, ma ugualmente strategica per lo sviluppo intrinseco della ricerca, e delle potenzialità di quei pochi che ce la fanno. La Cassa depositi, tramite il Fondo italiano di investimento, è da anni il principale operatore italiano nel venture capital. Un primato che intende rafforzare, dato che a fine 2019 è salita dal 43 al 68% in questo contenitore di fondi diretti e indiretti, che punta ad aumentare le masse gestite da 1,5 fino a 2,5 miliardi nel 2020.
Sempre nel dicembre scorso il management ha costituito una Sgr specializzata, che si chiamerà Cdp Venture Capital, per rafforzare la capacità di azione e di indirizzo nel settore, supportando le startup lungo tutto il ciclo di vita con strumenti finanziari come fondi diretti e fondi di fondi, per un impegno economico che tra risorse della Cassa e altri fondi del Ministero dello sviluppo economico si stima in un miliardo di euro. Qui potrebbero essere d’aiuto le esperienze che, singolarmente, le Fondazioni più dinamiche hanno maturato da anni nella nicchia, anche per cercare di salvaguardare l’approccio tecnico e non clientelare nella scelta delle imprese destinatarie degli investimenti. Sempre da misurare alla prova dei fatti sarà, infine, la capacità di creare sinergie tra la Cassa e i suoi azionisti privati, derivante da una delle idee portanti del piano industriale 2019-2021 della Cdp, in cui si prevede di ampliare la rete territoriale con l’apertura di “almeno un presidio in ogni regione italiana”, anche a scopo di un maggiore supporto delle piccole e medie imprese; e si stimano venticinque miliardi di euro di risorse da mobilitare “per supportare il territorio e gli enti locali nella realizzazione delle infrastrutture e nel miglioramento dei servizi di pubblica utilità, rafforzando la partnership con la Pubblica amministrazione e il presidio territoriale”.
L’ultimo aspetto menzionato porta alla lista di cose da fare a livello di governance interna e comunque “in negativo”, per tenere la Cassa depositi lontana da inevitabili tentazioni politiche del governo di turno, o da un approccio troppo dettato da logiche emergenziali (per cui periodicamente, specie in anni di crisi, spuntano aziende italiane da salvare o rilanciare). La presenza delle Fondazioni nel capitale della Cassa, benché una frazione rispetto all’83 per cento del Tesoro, conferisce un potere di veto che ricorda un po’ la deterrenza del dottor Stranamore7 e le memorie della Guerra fredda. Proprio la componente privata nel capitale della Cdp, infatti, si rivela determinante per escludere ai fini dei conteggi ufficiali Eurostat i 425 miliardi di euro di attività della Cassa depositi dalla contabilità nazionale e dal debito pubblico; debito già tanto elevato da non avere assolutamente bisogno di questo sovraccarico.
Tale potere di veto, insieme a quello di recesso statutariamente lasciato agli azionisti privati, non è mai stato esercitato8 e farlo in modo massiccio parrebbe di diffi cile attuazione, considerata l’ottica politico-istituzionale del sodalizio. Tuttavia gli azionisti privati, nel quindicennio, hanno più volte fatto sentire la loro voce, esercitando la moral suasion e le loro prerogative, sia nel Cda (dove le Fondazioni nominano il presidente e due consiglieri su un totale di nove) sia nel Comitato di supporto degli azionisti di minoranza interno. Non sempre è stato un compito facile: basta rimandare alle innumerevoli dichiarazioni di Giuseppe Guzzetti, negli anni in cui rappresentava le Fondazioni, contro il rischio di investimenti in società pericolanti – Alitalia è stata tra i dossier più caldeggiati, e rifiutati – che potessero mettere a repentaglio il risparmio postale degli italiani, oltre che la quota parte del patrimonio Cdp versata dalle Fondazioni stesse. Certo la governance non è fatta solo da regole, ma anche da uomini. In questa prospettiva la figura del presidente assume un ruolo chiave all’interno della società. E il presidente espresso dalle Fondazioni ha il compito di trovare il delicato equilibrio istituzionale tra esigenze di tutela ed equilibrio del socio di minoranza ed esigenze e opportunità di una efficace azione strategica e gestoria del management.
Con la successione di Giovanni Gorno Tempini a Massimo Tononi in questa funzione nevralgica di Cassa depositi, vedremo come questo equilibrio sarà perseguito e raggiunto nell’interesse comune di tutti gli azionisti.