il Giornale, 15 febbraio 2020
Trump vicino ai 50 mila tweet
«Lavorare così è impossibile». Colpa del difficile carattere di Donald Trump? No, della sua passione per Twitter. La frase non arriva da un rivale politico del presidente Usa, né da un giornalista costretto a stare dietro ai suoi continui tweet nell’attesa di una nuova dichiarazione. Lo sfogo appartiene a William Barr, ministro della Giustizia del gabinetto Trump, che in un’intervista ad Abc ha criticato il modo di comunicare del suo alleato: «Non sarò bullizzato o influenzato da nessuno», ha detto. Il casus belli è il processo contro Roger Stone, amico di lunga data ed ex consigliere del presidente, coinvolto nelle indagini sulle interferenze russe nelle elezioni del 2016. La pena chiesta per lui dai procuratori è stata commentata seduta stante da Trump su Twitter: «Orribile e ingiusta». Ma Barr non è il primo a essere messo in imbarazzo dall’utilizzo disinvolto del social network da parte del presidente, e a far trapelare un certo disagio per questo.
A oggi Donald Trump sta per sfondare quota 50mila tweet sul suo profilo personale, quello che quotidianamente utilizza. Ce ne sarebbe anche uno ufficiale (nickname @Potus, acronimo di «President of the United States») aperto da Barack Obama nel 2015. Anche il predecessore di Trump seppe infatti sfruttare i social media e il web per mobilitare la base sia nel 2008, sia ancora di più nel 2012, anno della sua rielezione. Tanto che Obama resta una star di Twitter ancora oggi, con i suoi 113 milioni di follower. Trump ha ereditato in automatico l’account ufficiale da presidente al momento del suo insediamento, ma non l’ha mai gradito: di fatto, @Potus oggi non fa altro che rilanciare i contenuti pubblicati dalla Casa Bianca e da Trump (nickname @realDonaldTrump). Dei 48.990 cinguettii pubblicati dall’inquilino dello Studio Ovale dalla sua iscrizione nel marzo 2009 a oggi, quasi 15mila sono quelli scritti da presidente negli ultimi tre anni. Il primo risale proprio al 20 gennaio 2017, giorno dell’inizio del suo mandato: «Il movimento continua, il lavoro comincia!», twittava Trump invitando gli elettori a seguire la cerimonia del giuramento. Da lì in poi è stato un crescendo: se allora la media era di 9 tweet al giorno, oggi le cifre si sono triplicate.
I cinguettii presidenziali sono ormai considerati alla pari di comunicazioni ufficiali. Anzi, spesso sono anche più tempestivi. Diversi sono stati i licenziamenti illustri comunicati da Trump via Twitter, dal segretario di Stato Rex Tillerson a John Bolton, consigliere per la sicurezza nazionale. E Twitter è stato anche il luogo adibito ad annunci capaci di provocare seri incidenti diplomatici: l’estate scorsa Trump ha comunicato con un tweet l’aumento dei dazi su 300 miliardi di beni provenienti dalla Cina, mentre a marzo aveva fatto lo stesso per riconoscere la sovranità di Israele sulle alture del Golan, ribaltando decenni di politica americana. Il tutto a favore dei suoi 72 milioni e mezzo di seguaci. Tra le uscite più apprezzate dal suo pubblico ci sono le invettive contro i giocatori di football che si erano rifiutati di intonare l’inno nazionale in polemica con lui.
Trump non rinnega nulla: «Il mio utilizzo dei social media non è presidenziale. È presidenziale dei tempi moderni!», rivendicava già nel 2017 dopo che alcuni Repubblicani avevano criticato la sua comunicazione fatta di attacchi a ripetizione. Tra le sue vittime preferite ci sono gli inquirenti del Russiagate, la Banca centrale americana, i Democratici e i giornali. Più della metà dei suoi tweet da presidente sono stati lanciati per attaccare qualcuno o qualcosa, come ha rivelato un’indagine del New York Times. Sempre il quotidiano newyorchese ha svelato che nel 2017 i suoi collaboratori avevano intenzione di chiedere alla piattaforma di introdurre un ritardo di 15 minuti nella pubblicazione dei tweet del presidente, in modo da tamponare eventuali guai, salvo poi rinunciare nel timore che la notizia arrivasse alla stampa o allo stesso Trump.
«Trump ha bisogno di twittare come noi abbiamo bisogno di mangiare», ha sintetizzato in un’intervista Kellyanne Conway, consigliera del presidente. Lui, da utente affezionato, ha solo un rimorso: come disse commentando l’uccisione del leader dell’Isis Abu Bakr al-Baghdadi lo scorso ottobre, «questi usano Internet meglio di chiunque altro al mondo. Forse anche di Donald Trump».