ItaliaOggi, 15 febbraio 2020
Orsi & tori
Srl non vuole più dire società a responsabilità limitata. O meglio, con il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, la responsabilità travalica la società e passa direttamente sugli amministratori, che infatti, proprio per questo, non sono più disponibili per chi, proprietario della società, gradirebbe in consiglio professionisti capaci di dare un valido contributo alla gestione. Ma gli effetti di questa nuova norma stanno addirittura facendo fuggire gli stranieri che sono nei consigli di amministrazione di pmi italiane in cui gruppi internazionali hanno investito. Il tema non è nuovo per gli addetti ai lavori, perché la modifica discende dalla legge delega del 19 ottobre 2017. C’era tempo fino al 14 novembre 2018 per introdurre uno o più decreti attuativi. Che non arrivarono al traguardo per problemi di opportunità politica in quanto prevedevano la soppressione dei tribunali periferici, e le elezioni erano vicine.È stato il ministro Alfonso Bonafede a far ritornare in vita i decreti, scritti dalla commissione presieduta dal magistrato Renato Rordorf, che all’articolo 378, Responsabilità degli amministratori, recita letteralmente: «All’articolo 2476 del Codice civile, dopo il quinto comma è inserito il seguente: Gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione del patrimonio sociale. L’azione può essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti. La rinuncia all’azione da parte della società non impedisce l’azione da parte dei creditori sociali. La transazione può essere impugnata dai creditori sociali soltanto con l’azione revocatoria quando ne ricorrano gli estremi».
«Con un tale rischio, nessuno vuole più fare l’amministratore di pmi, che pure sono la colonna vertebrale del sistema economico italiano», commenta desolato Giuseppe Pirola, a capo di uno studio con 150 avvocati e altri 350 fra commercialisti ed esperti di diritto. «È una pura follia. Con questa legge, le pmi che hanno già problemi enormi di finanziamento bancario non otterranno più un prestito».
Non è un caso che proprio nei giorni scorsi l’obbligo di nomina di revisori (un’altra delle novità), che doveva decorrere dal 16 dicembre 2019, è stato di fatto procrastinato di un anno, dovendo i revisori stessi cominciare a lavorare sui bilanci 2020 invece che 2019. È stata questa una decisione inevitabile, perché non ci sono revisori a sufficienza disposti a correre rischi per società-aziende che finora hanno avuto un approccio dinamico per la loro attività, che a sua volta costituisce il connotato fondamentale e vincente delle pmi italiane.
Sul punto della responsabilità degli amministratori invece nessun rinvio. L’articolo è entrato in vigore il 16 marzo 2019 e quindi i suoi effetti dirompenti sono già percepibili proprio con la difficoltà a trovare sindaci e revisori e con la fuga di molti amministratori non italiani. «Al momento manca la percezione dell’impatto di questa riforma, ma quando cominceranno i processi contro sindaci e amministratori il sistema Italia rischierà di saltare», è il commento conclusivo nell’articolo all’interno di questo numero.
Intendiamoci, in teoria ma solo in teoria amministratori e revisori possono essere perseguiti se non rispettano le norme. Quindi verrebbe da dire che la nuova normativa è una saggia scelta per ridurre i rischi del sistema. Invece sta per succedere esattamente l’opposto: la dissoluzione del sistema che regge il Paese. Infatti, fino al marzo 2019 l’azione contro amministratori e sindaci (solo una piccola parte delle srl aveva l’obbligo di averlo) poteva essere proposta solo dalle società stesse. Il che non succedeva quasi mai perché spesso vi era e vi è una coincidenza fra amministratori e proprietari dell’azienda. Ora invece sono i creditori che possono attaccare amministratori e revisori se non sono riusciti a conservare il patrimonio societario. Ma una pmi può entrare in difficoltà finanziaria e patrimoniale per molte cause, senza che vi sia responsabilità degli amministratori e revisori.
Insomma, il pericolo è il mio mestiere, potrebbe essere lo slogan di amministratori e revisori, che per questo sono in fuga. Ma l’effetto più disastroso è la inevitabile caduta di dinamismo delle pmi che è proprio il segreto del successo del sistema.
Senza travalicare, non è azzardato dire che vi è una quasi perfetta simmetria con la cancellazione della prescrizione. Il principio, legittimo, è quello di colpire chi sbaglia, ma in realtà il patrimonio delle pmi può dissolversi senza colpa di chi amministra e revisiona e per molte ragioni: il limitato capitale delle srl, uno sbalzo di mercato, obsolescenza del prodotto, un cliente che salta... Ecco, l’azione di responsabilità sarebbe ed è più che giustificata se viene condotta una gestione contro le leggi, se ci fosse malversazione, in una parola, disonesta. Ma la situazione non è più questa e gli amministratori e i revisori rispondono comunque con il loro patrimonio.
Ma la legge è ancora più perfida: esige che le società si dotino di un sistema di monitoraggio di indicatori dell’equilibrio patrimoniale e finanziario, con tanto di alert le cose non vanno come devono. In pratica, ciò assomiglia a un rating per ciascuna pmi, che si sommerà a quello già calcolato dalle banche. E ovviamente basterà che una società, che pure non è sull’orlo del default, manifesti un alert di debolezza perché, a maggior ragione, le banche non la finanzino più. La sorte di quella pmi è già segnata in partenza. Le banche non potranno più prestare un euro.
Qui non è in pericolo la possibilità di difendersi da parte di chi è stato condannato perché il processo non si prescriverà mai, come conseguenza della nuova norma giustizialista voluta dal ministro Bonafede, che pure è altamente pericoloso per il diritto a difendersi dei cittadini; qui è in pericolo lo stesso sistema economico italiano.
Il paradosso, qual è? Di solito a far emanare all’Italia leggi inique e pericolose per lo stesso Stato sono le direttive che arrivano da Bruxelles. Bene, la riforma Rordorf è stata varata ben prima che da Strasburgo o Bruxelles fosse emanata una direttiva su questi temi fondamentali per un’economia come quella italiana. La direttiva europea è la 1023 del 2019, contiene alcune disposizioni sullo stesso tema, ma non arriva a richiedere norme insensate come quelle della riforma Rordorf. E sì che solo in Italia esiste una struttura economica così fortemente basata sulle pmi. Come si vede, siamo all’assurdo per cui il Parlamento, invece di preoccuparsi di difendere il sistema che tiene in piedi l’Italia, lo mette a rischio dissoluzione rendendo insostenibile il ruolo di amministratore e revisori, anche per la semplice ragione che da sempre le pmi italiane non hanno capitali consistenti, essendo finanziate per il 94% dalle banche. Che ora non possono più finanziare così tanto il sistema delle pmi per i vincoli posti da Bruxelles. Al contrario di quanto è stato legiferato, il Parlamento avrebbe dovuto prima domandarsi come favorire la ricapitalizzazione delle pmi (la leva fiscale può fare miracoli) e poi, casomai, emanare norme severe, ma comunque non tali da eliminare, come di fatto oggi è stata eliminata, la separazione fra patrimonio dell’azienda e quella degli amministratori. Appunto le Srl non esistono più almeno per le due ultime lettere responsabilità limitata. Si propone per questo di coniare un nuovo acronimo: Sriar, cioè Società a responsabilità illimitata di amministratori e revisori.
Ciò che non può non essere sottolineato è che questa legge funesta è stata varata dal Governo e dal Parlamento dove un ruolo decisivo lo aveva la Lega, che si vanta di avere la rappresentanza del sistema pmi. Sì, senatore Salvini. Esattamente come anche la norma sull’eliminazione della prescrizione è stata concepita dal governo gialloverde e approvata dal Parlamento in maggioranza gialloverde.
Almeno sulla Riforma del codice della crisi d’impresa, è auspicabile che un ministro dell’Economia con la qualità di Roberto Gualtieri si accorga di che cosa sta succedendo e imponga una sostanziale revisione di quanto è già in vigore, rinviandone comunque l’applicazione anche per la responsabilità di amministratori e revisori.
Questo giornale e gli altri media di Class Editori stanno per avviare una serie di iniziative volte a far capire, più di quanto può questo articolo, che l’Italia non può permettersi di veder distruggere il sistema delle pmi, suo principale (e invidiato, anche dalla Cina) patrimonio.
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Il riferimento alla Cina non è improprio in questo momento di gravissima epidemia nel più grande Paese del mondo. Vale ricordare che l’ex presidente della Bank of China, la più storica delle banche cinesi, il dottor Tian Guoli, ora presidente della Construction Bank, secondo colosso bancario del celeste impero, è ammirato dal fenomeno delle aziende familiari o comunque pmi italiane. «Avete la più straordinaria fucina di imprenditorialità che esiste al mondo», mi ha ripetuto spesso sia in Italia che in Cina. E infatti è stato, proprio per questo interesse all’Italia, cofondatore del governativo Business forum Italia-Cina.
Non passerà molto tempo che l’eroico popolo cinese sconfiggerà il virus, che oltre a mutare dagli animali agli uomini ha già mutato anche nome da Coronavirus a Covid-19. In una lettera di solidarietà che ho inviato ai nostri partner di China Media Group, che riunisce la televisione nazionale Cctv, la radio e altri media, e a Xinhua news agency, ho scritto: «Stiamo seguendo con trepidazione e partecipazione l’evolversi della situazione sanitaria, ma con la certezza che il popolo cinese, dopo aver sconfitto da decenni il peggiore dei mali, la fame, e dopo essere diventato il primo Paese a livello tecnologico, saprà sconfiggere anche Covid-19».
Come in tutte le tragedie, anche in questa c’è qualcosa di positivo. Il mondo intero si è reso conto di quanto è fondamentale la Cina per lo sviluppo di tutto il mondo. Il colpo di Covid-19 è duro per l’economia, ma i cinesi non si stanno abbattendo per questo e sono sicuri, come del resto i più acuti economisti, di una ripresa a V appena l’epidemia entrerà nella fase calante. E proprio i nostri partner hanno e ci hanno spiegato perché c’è fiducia in Cina che la flessione forte del primo trimestre sarà recuperata e ci sarà nuovo slancio per un nuovo sviluppo. «Mentre è in atto la lotta contro l’epidemia», scrivono i nostri partner, «la Cina si sta adoperando con sufficienti strumenti normativi per stabilizzare l’economia. Visto che il Paese è una delle poche, grandi economie internazionali in cui ancora sussiste una politica monetaria normalizzata e quindi ha a disposizione gli strumenti politici (leggi controllo della valuta, espansione monetaria, acquisti di titoli come ha fatto la Bce ecc.) per affrontare la pressione al ribasso dell’economia. In più i fondamentali di lungo periodo costituiscono solide basi per un migliore andamento dell’andamento economico a lungo termine. Per questo, molti economisti cinesi e stranieri ritengono che, in seguito all’attenuazione dell’epidemia, l’economia cinese registrerà probabilmente una ripresa compensativa. Anche il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale lo pensano...».
Queste parole sono da meditare. Come è da meditare la scelta del governo italiano di bloccare i voli da e per la Cina. Come se in Italia si arrivasse solo in aereo. Nei giorni scorsi nel volo da Parigi a Milano c’erano persone rivenienti dalla Cina, per esempio. Un simile gesto ha già provocato la reazione dell’ambasciata cinese. Con questa decisione, è bene saperlo, l’Italia ha perso tutto il vantaggio che aveva conquistato fra i Paesi del G7 e dell’Europa firmando il memorandum di adesione al grandioso progetto della Via della Seta. Una scelta davvero infelice, poiché, come sta avvenendo in tutti gli aeroporti italiani, la misurazione della febbre avrebbe potuto essere compiuta a maggior ragione per voli in arrivo e partenza per la Cina. Il sentimento che la decisione ha suscitato nei cinesi che vivono in Italia è non solo di sorpresa, ma anche di dispiacere, che inevitabilmente sfocia nel risentimento. Ma il populismo, la campagna populista, aleggia anche nell’estrema sinistra al governo e questa volta coinvolge, davvero, anche il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. (riproduzione riservata)