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 2020  febbraio 15 Sabato calendario

Riscoprire Elsa Morante

C’è un’immagine che non risparmia chiunque abbia letto L’isola di Arturo, il romanzo del 1957, uscito per i tipi Einaudi, con cui Elsa Morante vinse il Premio Strega: ed è veder scomparire Procida, isola dell’arcipelago campano, dietro la poppa del traghetto con cui si va via, si torna a Napoli ( nell’ultima pagina del libro, nella realtà del viaggio). È irresistibile lì la sovrapposizione di tenerezza e paesaggio, di letteratura e sentimento. Questo è quello che Elsa Morante ha fatto per i suoi lettori, quello che ha voluto lasciare nella pagine, nei libri per tutta la vita: la menzogna e il sortilegio ( Menzogna e sortilegio è un romanzo in sei parti pubblicato nel 1948). La fascinazione della parola che crea e salva e per farlo deve raccontare sì, ma anche sapersi lasciare andare, perdersi. Dice Cesare Garboli, suo amico per tutta la vita: «la verità, la concretezza, il mistero della realtà avevano bisogno, per parlarle, per farsi ascoltare da lei, di raccogliersi intorno a un fuoco e di farsi trascinare dall’immaginazione come da una grande forza mistica, simile a un’allucinazione e a una droga». Da subito indipendente e decisa, nata da una maestra elementare e da un istitutore, se ne va presto di casa, dopo il liceo, e cerca di mantenersi come può, negli anni Trenta, vivendo in stanze ammobiliate qui e lì nel centro storico di Roma ( suoi posti saranno per sempre via Sgambati, via del Babbuino, via dell’Oca, i Parioli, via della Penna. Un itinerario si può ricostruire a partire dalle lettere pubblicate ne L’Amata — Einaudi, Torino, 2012), sostenendosi con la redazione di tesi di laurea per studenti della Facoltà di Lettere, che lei non poté mai frequentare – e viene da ridere e commuoversi, oggi, pensando a chi si fece scrivere una tesi di laurea da Elsa Morante; dando lezioni di italiano e latino e poi collaborando a riviste e giornali con l’uso di pseudonimi, tra di essi: il Corriere dei piccoli. È in questi anni che il pittore Capogrossi la presenta ad Alberto Moravia, lui scrive: «Viveva sola e moriva letteralmente di fame. E anche di solitudine: mi disse che un giorno, per sentire una voce umana, fece il numero di telefono che dava le ore. Per campare cercava di guadagnarsi la vita facendo le tesi per gli studenti pigri. Era letteratissima. Aveva i capelli bianchi fin da adolescente, un gran fungo su una faccia rotonda. Era molto miope, aveva occhi belli con lo sguardo trasognato dei miopi. Aveva il naso piccolo e la bocca grande, capricciosa. Una faccia un po’ infantile!». Lei aveva 25 anni e gli mette le sue chiavi di casa in mano la sera stessa che si conoscono. Si sposeranno in chiesa ( lei era cattolica, devota alla Madonna), andranno un po’ raminghi per sfuggire all’arresto che insegue lui dopo l’armistizio: a Fondi ripareranno, in attesa degli alleati, per nove mesi assieme, alla comunità contadina. Questa esperienza pianta i germogli per l’opera più monumentale di Elsa Morante, La Storia (sette capitoli dedicati ciascuno a un anno, dal 1941 al 1947, che racconta i vinti novecenteschi, in terza persona, tremendo, bellissimo, con un’esplicita condanna della storia con la S maiuscola) uscita nel 1974 quando ormai lei era già famosa e riconosciuta ovunque. Tornati a Roma le condizioni economiche migliorano, diventano la coppia famosa che sappiamo, il loro salotto viene ben frequentato, il matrimonio comincia ad andar male, del resto: «Le coppie di letterati sono delle vere pesti» ha scritto all’amica Maria Valli. Lui non sarà mai generoso con lei quando ne scriverà o rilascerà interviste, lei invece altera, riservata, di ciò che pensava degli amici e del marito abbiamo avuto contezza solo dopo la sua morte. Elsa Morante ebbe pochissime amicizie femminili, non amava le donne, si faceva chiamare” scrittore”, aveva una passione per i gatti che, secondo il prediletto Pier Paolo Pasolini, si porta addirittura nel volto: «* aveva* il viso di giovane gatta, e anche i caratteri psicologici le appartengono inequivocabilmente: padrona del proprio pensare, per quanto il suo fondo potesse essere passionale, viscerale e tempestoso». Dei tre, assieme, ci sono bellissime immagini di un viaggio in India all’inizio del 1961, una in particolare in cui i due coniugi quasi si fronteggiano con le macchine da scrivere poggiate con i rulli vicini e loro a batter sui tasti da un lato all’altro del tavolo. Si lasceranno l’anno dopo ed Elsa continuerà a viaggiare; importantissimi sono per la sua coscienza e produzione i viaggi in Andalusia, in Messico, in Galles che fanno emergere l’inquietudine per quello che accade nel mondo, e un bisogno di esporsi in maniera problematica: lo fa con la conferenza del 1965 “Pro o contro la bomba atomica” e nelle poesie del 1968 Il mondo salvato dai ragazzini. Del resto sono gli anni, è il momento, Pasolini se la vive come una madre che non gli dà sufficiente importanza, litigano per questioni politiche: Pasolini le rimprovera di essere sempre stata passiva, Morante gli rimprovera una complicità con i padroni. Nel 1976, sull’onda della notizia devastante della morte di Pasolini ( 1975), comincia il suo ultimo romanzo, Aracoeli, cupo e pessimistico, pubblicato nel 1982, tre anni prima della sua morte, avvenuta in una clinica romana per infarto. Elsa Morante cerca quello che cercano tutti. Scrive a Dario Bellezza: «… solo la simpatia a me può dare ancora qualche contentezza… e io cerco la contentezza, come la gente comune». Infine a Luisa Fantini: «Luisella cara, non bisogna mai voler bene a nessuno, è troppo terribile».
A noi piace ricordarla però in quella sera di luglio del 1957 quando L’isola di Arturo vince il Premio Strega, circondata dagli Amici della Domenica, sparuta, senza gioielli, spettinata e con lo sguardo miope che cerca l’obiettivo, mentre con il dito le chiedono di indicare sulla lavagna i voti che ha conquistato Arturo: il ragazzo, la stella, l’isola, le case, le botteghe del porto, la «casa dei Guaglioni», il penitenziario, sé stessa.