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 2020  febbraio 15 Sabato calendario

Ritorna “Il signor Cardinaud”, un Simenon senza Maigret

«Era come un tappo di sughero in balìa della corrente». Possibile che Georges Simenon abbia ripreso un’immagine tanto consunta? E l’abbia usata per iniziare un romanzo senza Maigret protagonista? (alla fabbricazione in serie qualcosa può sfuggire, i titoli accertati con il commissario di Quai des Orfèvres sono un centinaio).
Possibile. La leggiamo in apertura di Il signor Cardinaud, noto agli stagionati lettori di Simenon con il titolo Sangue alla testa: era sulla stilizzata copertina di un’edizione Mondadori del 1957. Ora esce da Adelphi, nella traduzione di Sergio Arecco e con un titolo più fedele all’originale. Leggiamo la frase sul tappo di sughero, e poi ammiriamo la giravolta che in poche righe Georges Simenon fa fare al luogo comune, quasi una palla a effetto.
«A testa alta, il busto eretto, guardava fisso davanti a sé e ciò che vedeva si armonizzava intimamente con ciò che udiva e ciò che provava: ricordi, pensieri, progetti». Non il solito tappo di sughero. Al contrario: un uomo soddisfatto, «contento di essere la persona che era». Con il figlio di tre anni vestito alla marinara segue la messa, poi sul sagrato saluta i compaesani, e si dirige verso la pasticceria delle signorine Dufour dai «capelli biondi come la pasta dei bignè» per i dolci.
Anche la domenica estiva incuriosisce i fedeli simenoniani, che secondo il biografo dello scrittore Pierre Assouline compongono «un’affascinante tribù che non ha ancora trovato il proprio Lévi-Strauss». Georges Simenon teorizzerà addirittura «le dimanches de la vie», i periodi dell’esistenza che somigliano alla tristezza del dì di festa: l’ancoraggio del lavoro viene meno e disorienta, il lunedì si avvicina, prede la depressione di chi vorrebbe far tutto e non combina nulla.
Il signor Hubert Cardinaud cammina felice e soddisfatto, il pacchetto delle paste tenuto dritto per non sciuparle, e già pregusta l’arrosto della domenica. Sulla soglia sente puzza di bruciato, dal forno esce fumo, la bambina di otto mesi non sta nella culla, le finestre sono spalancate. A un più accurato esame, manca il cappello che la moglie si è fatta confezionare per Pentecoste. Sparita senza lasciare neanche un biglietto, dopo aver affidato la piccola Denise ai vicini (loro vivono di rendita, e l’assicuratore che spera di diventare presto socio della ditta pur nella disgrazia nota «l’odore delle case dei ricchi»). Sparita con i tremila franchi per la rata del mutuo.
Uscito nel 1942, Il signor Cardinaud è uno dei cinque romanzi scritti da Georges Simenon quando era sfollato al castello di Fontenay- le-Comte. Si era trasferito in Vandea nel 1940, per via della guerra e di una situazione economica non più tanto florida: l’editore Gallimard aveva le sue difficoltà, sotto l’occupazione, i diritti d’autore non arrivavano. Lì cominciò anche l’autobiografico Pedigree, prima stesura stroncata senza pietà da André Gide: «Privo di arte, privo di tono, privo di rilievo, debole e stiracchiato. Con i buoni sentimenti si fa pessima letteratura». Il campione che sapeva scrivere senza aggettivi era crollato sotto i ricordi d’infanzia – e usava i puntini di sospensione, orrore! A peggiorare la prosa, contribuì la diagnosi (sbagliata) di un medico locale che aveva dato a Simenon due anni di vita, colpa del cuore malandato. La scrittura dei romanzi regge ancora bene. La signora Marthe Cardinaud è scappata di casa, il marito parte alla ricerca. Senza farlo sapere in giro, ma in paese le voci corrono. Qualche giorno dopo una lettera anonima denuncia la fedifraga e il suo complice, al mercato del pesce di Les Sables d’Olonne. «Sarebbe andato a riprendersi Marthe, perché non credeva nel male», scrive Simenon. Anche quando la situazione prende un andamento da thriller, non rinuncia al suo gusto per i dettagli. Chiuso il romanzo, restano in mente un paio di bretelle viola stinte sotto la pioggia (gliele aveva comprate la moglie, tre settimane prima).
I pettegolezzi di Fontenay-le-Comte entrano nei romanzi scritti quando lo scrittore viveva nel castello (anche Maigret ha paura è ambientato nella cittadina, il commissario va a trovare un vecchio amico). Simenon conosceva tutti, e tutti lo conoscevano. Riuscì a farsi dare in anteprima una copia del film tratto dal suo romanzo La maison des sept jeunes filles e invitò al cinema la cittadinanza. Fece il suo ingresso non con la legittima sposa Tigy – è sempre il biografo Pierre Assouline a raccontarlo – ma al braccio di Titine, una pescivendola sua amica di Les Sables d’Olonne. Dove il signor Cardinaud va a cercare l’amante di sua moglie, chiedendo informazioni a una Titine che lavora al mercato del pesce.
Simenon otteneva i film in anteprima perché oltre alla scena letteraria era il re del cinematografo, grazie alla Continental (casa di produzione e propaganda tedesca, con conseguente accusa di collaborazionismo).
Il signor Cardinaud diventerà un film molto più tardi, nel 1957, diretto da Gilles Grangier. Con Jean Gabin nella parte del marito deciso a riportare in casa l’ordine e l’arrosto della domenica.