Robinson, 15 febbraio 2020
Per i lettori l’amore è un classico
La resistenza all’omologazione del mercato editoriale potrebbe rinascere oggi dai classici del Novecento, specie da quelli caduti in un semi-oblio, scivolati a margine del canone, addormentati dentro vaghe reminescenze liceali. A giudicare dai nomi di scrittori pervenuti in redazione – su sollecitazione della rubrica “A grande richiesta” – cresce una diffusa voglia di classici “minori” e appartati, di quelli ricordati quasi solo dal nome di un premio letterario (Giuseppe Berto, Marino Moretti, Giuseppe Dessy, Silvio D’Arzo...). Chi è un “minore”? Il canone letterario ridisegna continuamente le proprie gerarchie: è fatto di improvvise svalutazioni e rivalutazioni. Flaiano aveva genialmente previsto, in una futura voce enciclopedica su di sé, perfino il refuso: «Scrittore minore del Novecento, etc., autore di un solo romanzo, Tempo di morire » (il titolo vero è Tempo di uccidere!). C’è soprattutto un fatto singolare, contro tutte le accigliate diagnosi sul “pensiero unico” del presente: benché la letteratura risulti ovunque emarginata, dai media alla scuola, i “margini” non cessano oggi di attrarre una quota consistente di pubblico, per una volta insofferente dei bestseller. I lettori più sensibili intuiscono invece che l’unica vera alterità, entro un presente uniforme, è quella del passato. Quasi solo dal passato può affiorare cioè uno sguardo diversamente angolato sulla nostra realtà. In letteratura poi non c’è “progresso”, o almeno non un progresso analogo a quello della scienza dove ogni teoria è formulata per essere “falsificata”. La letteratura è il felice regno dell’anacronismo: nessuna forma è superata del tutto. E solo una pervicace superstizione avanguardistica ritiene che alcuni stili hanno il monopolio del presente ed esprimono il punto più avanzato della Storia.
Certo, un problema reale è che spesso le opere di questi classici “non allineati” risultano irreperibili. Bisogna avere la fortuna di trovarle in qualche libreria d’occasione. Qui però la tecnologia, considerata in genere il nemico della cultura e dell’umanesimo, può sorprendentemente assurgere a custode del passato.
Alcuni agenti letterari inglesi si sono impegnati a diventare editori elettronici e a pubblicare, in questa veste, tutti i loro autori, anche quelli da tempo fuori commercio. Un interessante segnale di tendenza.
Dunque l’ebook, in Italia mai davvero decollato, e che in nessun caso sostituirà il libro cartaceo, potrebbe risarcire la tradizione “nascosta” e sottrarre gli scrittori all’oblio.
Dai classici contemporanei e moderni l’attenzione dei lettori potrebbe spostarsi successivamente sui classici più lontani (già se ne intravedono le avvisaglie). In quel caso sarà ancora più necessario uno sforzo di mediazione culturale: i classici occorre farli parlare, altrimenti finiscono come i violini Stradivari gelosamente custoditi in una bacheca di Washington, che nessuno sa più suonare. Ciò non significa attualizzarli in modo forzoso e trasformarli in icone pop. Dante o Boccaccio o Machiavelli sono preziosi in quanto distanti, in parte inafferrabili, irrimediabilmente diversi da noi. Il loro “tempo” riusciamo solo a immaginarlo, come in sogno. Però quei classici ci tramandano pure qualcosa, premono sul nostro presente con le loro domande silenziose, si muovono incessantemente nella relazione con noi.
Perciò è anche giusto accostarsi – un po’ arbitrariamente – a qualsiasi libro, di qualsiasi autore ed epoca storica, fuori e dentro il canone, come se fosse stato scritto per noi, in quel momento là. Solo così infatti potremmo ricavarne ragioni di vita.