Siamo al freddo nello Yukon canadese, è il 1890, in piena corsa all’oro. Lì si consuma quella che a tutti gli effetti è una storia d’amore tra un uomo e il suo cane in mezzo alla natura selvaggia. «Ma senza dimenticare che la vita, all’epoca, era un inferno» sottolinea Ford, che incontriamo a Los Angeles in occasione del lancio di Call of the Wild — questo il titolo originale — in uscita nelle nostre sale il 20 febbraio con 20th Century Fox, diretto da Chris Sanders, nel cast anche Omar Sy, Dan Stevens, Karen Gillian. «C’era un rispetto religioso nei confronti della natura — continua l’attore — e questo rende la storia attuale e universale».
La vita di Buck — così il nuovo adattamento — viene stravolta quando l’animale è costretto a trasferirsi dal caldo della California al gelo canadese. Diventa la matricola dei cani da slitta delle Poste guidata da Sy (poi diventerà il leader) e il dovere lo obbliga a crescere in fretta. Classico romanzo di formazione, se Zanna Bianca — altro grande cane di Jack London — imparava infine a farsi accarezzare e diventare affettuoso papà, Buck scopre come diventare un adulto responsabile. Harrison Ford vive tra Los Angeles e una fattoria tra le montagne del Wyoming. Lavora il legno, da sempre è un divo schivo, ama più i boschi che i red carpet.
Chi è John Tornton?
«Un uomo che non si sente più a proprio agio nel mondo. Non sopporta il dolore che la vita gli ha procurato. Parte per tentare la svolta, cercare l’oro, diventare ricco. Ma in realtà è una ricerca di pace e solitudine dopo la morte del figlio piccolo che amava la natura selvaggia. Incontra Buck, uomo e cane diventano compagni. Un legame strettissimo che fa loro affrontare ogni pericolo».
Com’è stato lavorare accanto a un cane che in realtà non c’era, ricreato poi in digitale?
«Non c’era ma al suo posto c’era un uomo deputato proprio a fare quel lavoro, ad aiutarmi nell’indirizzare lo sguardo e le emozioni. Una sfida divertente. L’esperienza sui set di Indiana Jones e soprattutto del mio ultimo Guerre Stellari , con tante situazioni di “vuoto” riempite in seguito grazie alla tecnologia digitale, mi avevano già preparato.
Sono un attore anziano ma abbastanza al passo coi tempi, sa?».
Lei ama i cani?
«Certo, ne ho sempre avuti, ora ne ho tre, forse quattro, ho perso il conto perché non sono qui a Los Angeles con me ma nella fattoria, beati tra i campi, come tutti i cani dovrebbero vivere».
Che cosa rende il racconto di Jack London ancora attuale?
«Il modo in cui viviamo oggi, il caos che abbiamo intorno, il contesto politico e sociale, i danni che stiamo facendo alla natura, al nostro pianeta. Il richiamo della foresta potrebbe essere stato scritto oggi ma ogni libro di London ha un senso, Zanna bianca è un capolavoro di narrativa psicologica, e ogni volta che rileggo Martin Eden , scopro nuove cose».
Lei è sempre stato un sostenitore delle battaglie contro i cambiamenti climatici.
«Combatto per la natura, per la sua tutela. Non dipende dalla natura stessa ma da noi, come sappiamo.
Siamo noi che dovremmo chiedere alla natura, con gentilezza, di condividere con noi la sua abbondanza, la sua generosità, la sua capacità di sostenerci. Buck rappresenta questa natura generosa a cui troppo spesso non diciamo mai grazie. Per difendere il pianeta dovremmo dare più ascolto agli allarmi che ci lancia la scienza, ma c’è ancora chi nega l’evidenza dei fatti».
A cosa si deve il suo cameo nell’ultimo “Guerre Stellari”?
Nostalgia per la saga?
«No, il regista J. J. Abrams me lo ha chiesto e ho detto ok. Ho dato ascolto alla sua intuizione».
È vero che aveva messo come condizione che Han Solo uscisse di scena prima di accettare di tornare?
«No, sono solo alcune delle chiacchiere che girano intorno a
Guerre Stellari . Ho sempre pensato che il destino di quel personaggio fosse quello di aggiungere un potenziale emotivo alla storia. Alla fine ha chiuso il cerchio, aveva esaurito quel potenziale».
E Indiana Jones? Tornerà?
«Sì, e non morirà ( ride ). Ma non mi chieda altro, è come se mi chiedesse per chi voterò, è una cosa talmente personale. E comunque voterò per chiunque possa far fuori Trump».
Quindi continuerà a lavorare.
«Perché? Pensa che sia così vecchio da dover smettere? Certo che continuerò. Sono stato molto, molto fortunato. Ho avuto una vita benedetta, fin qui ho fatto più esperienze di quante normalmente uno ne possa fare nel corso di una vita intera perché sono potuto entrare nella testa di tante persone diverse, e questo mi ha aiutato a comprendere che cosa significhi la diversità».