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 2020  febbraio 15 Sabato calendario

Le vigne del leader degli Ex-Otago

Taneto di Gattatico, 10 febbraio 2017: 1.000 persone circa in un circolo Arci per la partenza di un tour. Genova, domani, 5 mila persone. In mezzo circa 130 concerti e la partecipazione a Sanremo 2019. «Non è mai stato il nostro anno. Non saremo mai hype, ma è stato un periodo denso, intenso e grintoso», racconta Maurizio Carucci, frontman degli Ex-Otago, band genovese che dopo anni di gavetta si regala un palazzetto nella sua Genova. «Sanremo offre tanto. Nel mondo del nazional-popolare aiuta a farti riconoscere e a far pensare che sei quella cosa lì. Allo stesso tempo ti toglie qualcosina in freschezza, categoria che già facciamo fatica a fingere di avere». 
Orgogliosamente outsider da sempre. Ma senza i timori dei perdenti. «Non c’è un piano A e un piano B. Esercito la mia esistenza in questo modo: coltivo le viti e scrivo canzoni», racconta Maurizio che nel 2011 ha creato Cascina Barbàn, progetto agricolo nell’Alta Val Borbera, terra di confine fra Piemonte, Liguria, Emilia e Lombardia. 
Anche gli altri della band hanno un lavoro: Simone Bertuccini fa il motion designer, Olmo Martellacci è un architetto, Francesco Bacci un ricercatore universitario e Rachid Bouchabla ha piccola etichetta discografica a Genova. L’agenda sempre più fitta non ha messo a rischio le altre professioni. «Succede il contrario. A volte tolgo tempo agli Otago per stare dietro alle vigne», dice Carucci. Maurizio ha trovato anche il punto di equilibrio economico: «La band mi dà da vivere e quello che avanza lo investo nell’azienda agricola. Faccio il contadino grazie agli Otaghi». Il vino, in autunno sono arrivate le prime bottiglie dopo anni di sperimentazione, «va forte», dice Maurizio: Timorasso e altri vitigni autoctoni. E non solo uva, ma anche grani antichi, fagioli, mele. «Siamo artigiani e tutto è coltivato organicamente». Il contadino e il musicista, ci sono punti in comune. «Gestire la vigna non è così diverso dal gestire un progetto musicale. Il vino è diverso a seconda dell’annata così come la musica è diversa se hai vissuto e sei cambiato. Ogni disco è un frutto». La pianta Otago ha dato di recente altri frutti, due nuove canzoni «Scusa» e «Tutto ciò che abbiamo»: «Sono scritte senza aspettative, parliamo di amore. Sono la chiusura del progetto “Corochinato”». Non svela cosa accadrà dopo: «Sono già sorte idee e visioni, ma da domenica sarà il momento di stare zitti. Nella musica pop c’è la tendenza a urlare sempre. Noi crediamo che se c’è un momento per cantare c’è anche quello per stare zitti». Le rinunce non si fanno solo per la vigna. Ci sono dei limiti oltre i quali non si può andare per non snaturare la propria storia: «Siamo riusciti a ottenere questi risultati col tempo e in un mondo che spinge verso i talent e altre scorciatoie. Anche noi abbiamo ricevuto qualche proposta facile in passato, ma siamo stati fermi nel rifiutarla». La tentazione è stata un invito a un talent: «Un conto è andarci ospiti, un conto è fare il giudice. Non voglio essere complice di un sistema che non offre un contributo interessante all’arte». 
Salendo sul palco le emozioni andranno domate. «In questi giorni sono riaffiorati i ricordi di quando eravamo nella cameretta di Simo e cantavo su un suo giro di chitarra registrato su una cassetta». 
Genova gli ha già fatto un regalo: a Marassi, il loro quartiere d’origine, è stato svelato nelle scorse settimane un murale che li ritrae. «Il giorno dell’inaugurazione autisti del bus e vecchiette ci salutavano. C’è stato anche un tipo con la macchina che sparava dance a tutto volume che invece ha gridato: “andate a lavorare!”. Genova aveva dedicato un’opera come questa soltanto a De André, don Gallo e Paolo Villaggio. Siamo in buona compagnia».