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 2020  febbraio 15 Sabato calendario

L’economia tedesca si è fermata

Il Dax, l’indice delle 30 blue chip tedesche, ieri ha messo a segno un record, toccando quota 13.788 a metà seduta. La Borsa ha preferito puntare sul calo ipotizzato dei contagiati da coronavirus piuttosto che vendere sulla stagnazione del Pil tedesco, fermo allo 0% nell’ultimo trimestre del 2019 come reso noto dall’ufficio di statistica Destatis. Neppure il brutto dato sulla fragile crescita europea sulla stima flash di Eurostat ha scoraggiato chi vede a breve il Dax a quota 14.000, prima di una sonora correzione. Nel quarto trimestre 2019 il Pil nell’area dell’euro e nella Ue è cresciuto dello 0,1% rispetto al trimestre precedente, quando era salito dello 0,3%. Italia e Finlandia sono risultati gli unici Paesi dei 19 con segno negativo, rispettivamente -0,3% e -0,4%.
Destatis ha confermato ieri per l’intero anno quel che si sapeva già, il magro +0,6% del Pil tedesco per il 2019, il livello più basso dallo 0,4% della crisi 2012-2013 e sul quale hanno pesato numerosi fattori, soprattutto i rischi geopolitici come la guerra dei dazi Usa-Cina e Brexit, ma anche problemi strutturali dell’industria manifatturiera come il cambiamento epocale del settore automotive.
Modesta, anche a causa della debolezza della Germania, è risultata la crescita 2019 della zona dell’euro ed Europa: sulla stima dei quattro trimestri, il Pil nell’area dell’euro è aumentato dell’1,2% e nella Ue dell’1,4%: si tratta del livello più basso per l’Eurozona dal -0,2% segnato nel 2013.
Il volume del Pil tedesco, nonostante la crescita in rallentamento, nel 2019 ha comunque raddoppiato il Pil italiano: 3.435 miliardi confermati ieri contro 1.721 miliardi stimati. Sempre nel 2019 il debito/Pil tedesco dovrebbe essere calato sotto il 60%, forse al 58%, contro quello italiano proiettato verso quota 135%. Destatis ha sottolineato ieri che l’economia tedesca nel quarto trimestre 2019 è stata sostenuta da 45,5 milioni di lavoratori a tempo pieno, aumentati di 271.000 unità (+0,6%) a dicembre, con tasso di disoccupazione del 5%, tasso di occupazione al 75,9%. Questo è il perno principale sul quale fa leva la domanda interna, che tiene, mentre l’export ha alti e bassi. In Italia invece il tasso di occupazione lo scorso dicembre è risultato del 59,2% con la disoccupazione al 9,8%.
L’economia tedesca ha comunque battuto la fiacca più del previsto nel quarto trimestre 2019, con un Pil inchiodato allo 0% contro il + 0,1% atteso e rispetto al terzo trimestre rivisto a +0,2% da +0,1%. Una stagnazione causata da esportazioni più deboli, calo di domanda interna e di investimenti pubblici, controbilanciati dal continuo boom di edilizia e costruzioni. Destatis ha ricordato la partenza «dinamica» a +0,5% nel primo trimestre tanto quanto la contrazione a -0,2% nel secondo trimestre.
La Germania insomma stenta a prendere slancio e allontanarsi con le dovute distanze dal rischio di recessione: la debolezza in chiusura 2019, sommata alle incertezze del coronavirus di questo avvio d’anno, gettano un’ombra sul 2020. Sebbene la Commissione europea abbia rivisto al rialzo la crescita del Pil tedesco a +1,1% per quest’anno, Barclays pronostica una contrazione dello 0,2% nel primo trimestre con un rimbalzo nel secondo trimestre e una crescita anno su anno di un «deludente 0,3%».
Il dato sul Pil tedesco ieri, che si somma a quello molto brutto della produzione industriale in Germania a dicembre (-3,5% mese su mese e -6,8% sull’anno precedente) e all’instabilità recente provocata dal coronavirus, ha riacceso il dibattito tra gli economisti tedeschi sull’opportunità di una politica fiscale ancor più espansiva a sostegno della crescita, che resta troppo debole e troppo esposta sull’export ai venti contrari geopolitici. Nils Jannsen di IfW Kiel ha messo in evidenza la gravità della recessione industriale in Germania e ha ammonito contro il protezionismo di Donald Trump che dopo la Cina potrebbe rivolgersi contro il surplus commerciale della Germania. Martin Wansleben di DIHK ha sollecitato una politica economica a Berlino più coraggiosa, maggiori investimenti pubblici e tagli delle tasse. Ma questo appello suona a vuoto nella GroKo: Cdu/Csu e Spd sono deboli e non in grado ora di abbandonare la politica dello “zero nero”, si limitano a dibattere se tagliare le tasse alle imprese (come indica il ministro Cdu dell’Economia Peter Altmaier) o alle classi meno agiate (come vuole il ministro Spd delle Finanze Olaf Scholz). Senza contare che la Cdu resterà in cerca di un leader e candidato cancelliere fino all’autunno, dopo le dimissioni a sorpresa di Annegret Kramp-Karrenbauer.