la Repubblica, 15 febbraio 2020
Il piano di Conte: sfilare 6 senatori a Italia viva
Prima ancora di sostituire Matteo Renzi, Giuseppe Conte e Dario Franceschini si sono accordati su un punto: “Dobbiamo renderlo irrilevante”. Come? Replicando al Senato le condizioni aritmetiche della Camera, dove la maggioranza è autosufficiente anche senza il sostegno di Italia Viva. L’idea, insomma, è blindare il governo senza passare da una crisi, rendendo l’eventuale nascita nel tempo di un gruppo di responsabili – a cui il premier comunque lavora parallelamente – un contributo utile, ma non necessario a tenere in piedi l’esecutivo. “Io ho la responsabilità di governo e ho chiesto la fiducia per realizzare un programma – sostiene intanto l’avvocato – Che senso avrebbe lavorare ad un Conte ter?”.
Da giovedì notte, Conte e il suo principale ispiratore politico – il capo delegazione dem – sono al lavoro per raggiungere lo scopo. Hanno in tasca un numero chiave: sei, come i senatori sufficienti a sottrarre al leader di Rignano il controllo della maggioranza. Renzi, che ha intuito l’operazione, non può fare altro che denunciarla. Rispolverando il celebre “che fai, mi cacci?” di finiana memoria. E spingendosi anche oltre: “Sulla prescrizione, non molleremo di un solo centimetro. Se il premier vuole cacciarci, faccia pure, è un suo diritto!”.
L’idea, come detto, è prima ancora quella di renderlo irrilevante. Ed è frutto dei due colloqui fondamentali andati in scena giovedì scorso: il primo tra Conte e Sergio Mattarella, il secondo tra il premier e Nicola Zingaretti. L’avvocato, infatti, avrebbe preferito un piano più ardito: presentarsi alle Camere e sostituire Italia Viva con la pattuglia di moderati che corteggia da mesi. Resta un’opzione sul tavolo, nel caso in cui le cose precipitno. Ma per adesso si accontenta di ascoltare il Pd, tentando di spaccare il gruppo renziano.
Un altro passaggio chiave è il consiglio dei ministri notturno che licenzia il ddl sulla riforma del processo penale, che contiene anche il lodo sulla prescrizione. Il premier e il ministro della Cultura si esprimono all’unisono. Il primo annuncia: “Andiamo avanti. Se Renzi vuole strappare, lo faccia: non avrà i numeri, i suoi non lo seguiranno”. Il secondo è quasi sprezzante: “Ma poi, dove volete che vada?”. Entrambi decidono di far recapitare al fondatore di Italia Viva un messaggio chiaro: “Se presenti la mozione di sfiducia contro Bonafede, ti assumi la responsabilità di una crisi. Noi avremo comunque la maggioranza. E da quel momento il tuo partito sarà estromesso da tutte le future alleanze, che si tratti delle Politiche come dell’ultimo dei Comuni”.
E proprio i numeri, in questo caso, sono decisivi: senza Italia Viva, i giallorossi possono contare a Palazzo Madama su un bottino che varia da 152 a 155 senatori (dipende dalla senatrice a vita Elena Cattaneo e dai due del Maie). Durante scrutini ordinari, la maggioranza è capace di reggere anche così, sfruttando l’assenza di alcuni berlusconiani aggrappati alla legislatura. Ma è nelle votazioni qualificate – la fiducia, ad esempio – che è consigliata la maggioranza assoluta. Servono 161 sì, sei in più dell’attuale perimetro senza Iv.
Sono proprio i renziani a far trapelare i nomi di quattro dei sei senatori “sospettati” di voler tornare nel Pd, o comunque di voler restare in maggioranza. Una è l’ex grillina Gelsomina Vono. Un’altra l’ex berlusconiana Donatella Conzatti. Il terzo è Giuseppe Cucca, che preoccupato scriveva ieri nella chat del partito: “Dicono che voglio andare via, vi giuro che non è così. Ve lo assicuro!”. Il quarto è Eugenio Comincini. Lunedì scorso, durante un incontro al gruppo, ha preso la parola davanti al leader: “Dobbiamo mediare sulla giustizia, non possiamo andare avanti così”. Renzi ha ascoltato, poi l’ha freddato: “Sono contento che tu sia intervenuto, ma non condivido nulla di quello che hai detto”.
Decisivi saranno i prossimi passaggi parlamentari. In quella sede Conte chiamerà ogni singolo senatore agli impegni assunti, sfidando Iv. “Se mi fido di Renzi? Io mi fido del programma che abbiamo – sostiene non a caso da Gioia Tauro, presentando il Piano per il Sud con il ministro Provenzano – La politica che ci piace offre un lavoro di squadra operoso, sincero e autentico”. Non sarebbe considerata tale una mozione di sfiducia a Bonafede. Ieri, per la prima volta, Renzi ha dimenticato di citarla. Tanto da far credere allo stato maggiore del Pd che in realtà non la presenterà mai.