La Stampa, 14 febbraio 2020
Il bestiario amoroso di Vinicio Capossela
Una volta Vinicio Capossela mi disse che il motto impostogli dal destino è: «Il massimo risultato con il massimo sforzo». Mi viene in mente ogni volta che esce qualcosa di suo, anche oggi, giorno dedicato a San Valentino, in cui pubblica il cofanetto Bestiario d’amore, con quattro brani musicali inediti, brevi testi del filologo Francesco Zambon e della medievista Chiara Frugoni, illustrazioni di Elisa Seitzinger. I brani sono quattro, appunto, ma quel che più conta è Bestiario d’amore, undici minuti di pianoforte, orchestra e voce ispirati all’opera del trovatore duecentesco Richard de Fournival, matematico, alchimista, astronomo, chirurgo, cancelliere della chiesa di Amiens, bibliofilo, letterato.
«Per anni - racconta Capossela - ho trascorso l’inverno in un paese semi abbandonato dove ho una casetta piena di libri e di cose. Lì sono incappato nel Bestiario d’amore: ho passato una settimana intera senza mai uscire, cercando di addensare un testo al pianoforte. È stato un corpo a corpo con un testo, un trattato, una dissertazione irresistibile. Fournival prende più di cinquanta animali, perlopiù immaginari, e li de-moralizza, cioè non fa ciò che la Chiesa aveva fatto fino a quel momento, spiegare Dio per mezzo del "libro della Natura". Anzi, lui li applica al discorso amoroso, con la pretesa di essere scientifico, di parlare all’intelletto, non ai sentimenti. Tenta di parlare d’amore usando l’intelligenza, la applica a una materia così irrazionale, per di più spiegandola con animali almeno per la metà immaginari, il drago, la sirena, l’unicorno, o con caratteri fantastici: la donnola concepisce dall’orecchio e partorisce dalla bocca, il leone partorisce i cuccioli morti e li risuscita con il suo fiato. L’amore d’altra parte è la prima esperienza della nostra finitezza, ci separa dal mondo ma il rapporto va ricucito. Non è privo di spunti per l’analisi dell’umano. In grande libertà, senza usare la forma della canzone, ho messo a fuoco gli episodi che mi interessavano di più, gli ho dato una metrica e soprattutto un’evocazione musicale. Se parlo del lupo, per esempio, cerco di evocarne la forza con la musica, non tanto, non solo con le parole».
Il risultato di questo modo del tutto nuovo, per lui, di fare musica è rimasto fuori dal suo ultimo album, Ballate per uomini e bestie, ed esce ora «perché quello era un album di canzoni e questa non lo è. È una specie di poema musicale. Nelle canzoni parlavo della peste che oggi si diffonde attraverso la Rete, e dunque questo Bestiario è un po’ come il Decamerone di Boccaccio, ci si rifugia in casa a parlare d’amore e seduzione mentre fuori infuria la pestilenza. Infatti il Bestiario diventa la cornice dei concerti che facciamo ora: microscopici, solo piano, voce e strumenti immaginari; o macroscopici, piano e orchestra sinfonica. Sono una quindicina, in luoghi molto belli, raccolti, in cui il Bestiario è un leitmotiv (tra gli altri, Aosta il 6 marzo, Milano dal 10 al 16 marzo, a giugno Roma e al Vittoriale di Gardone Riviera, ndr)».
Capossela ha 54 anni, il suo primo album risale al 1990. Negli ultimi tempi si è immerso in una ricerca molto personale, unica, che lo porta a rivisitare storie antiche, forme che credevamo dimenticate. «Cerco l’allegoria, il racconto mitico, l’epica. Il mito cos’è? È l’amore per il racconto che desta meraviglia. Mi piace portare su un piano più allegorico la miserabile e straordinaria materia del nostro vivere. Uno dei libri sull’amore che più amo raccoglie le poesie di Charles Bukowski, L’amore è un cane che viene dall’inferno, sono partito da quell’iperrealismo per arrivare ad amare, anelare i vapori. Non è letteratura di evasione, è un modo per parlare più all’anima delle cose che alla forma. A me serve, anche per cercare ciò che oggi desidero di più, l’ammutinamento di fronte alla sordida dittatura dell’attualità».