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 2020  febbraio 14 Venerdì calendario

Calcio, i 28 mila precari della panchina

Se Sarri si sia messo davvero in fila alle Poste, come da invito della società, non è noto. Certo esiste una base larghissima di suoi colleghi per cui lavorare allo sportello non è una provocazione, ma la realtà quotidiana. Una galassia da 28.880 tesserati Figc, tanti sono gli allenatori in Italia. Non saranno i 60 milioni di ct che parlano di calcio quando gioca la Nazionale, ma bastano a riempire comuni come Gragnano, Cervia, Assisi o Desenzano: l’unica categoria costantemente in aumento da dieci anni in un universo come il calcio italiano, che al contrario vede diminuire il numero di squadre, calciatori, arbitri.
Una volta chi arrivava ad allenare in Serie C, prima di firmare, chiedeva alla società: «Mi trovi anche un lavoro vero?». Fare altro era la norma e lo sa bene lo stesso Sarri, che ha iniziato lavorando in banca. Per tantissimi è lo stesso: Mario Beretta, in Serie A col Siena e oggi consigliere Federale, insegnava educazione fisica a scuola. Castori, il tecnico che portò in A il Carpi, ha iniziato la vita professionale da ragioniere e proseguito vendendo scarpe. Curioso per chi appartiene a una categoria a cui le scarpe sono abituati a farle: soltanto in Serie A, negli ultimi 20 anni, sono stati esonerati 252 allenatori in corso di stagione. A proposito del precariato.
Eppure in Serie A e B (allenatori, vice, preparatori) lavora il 5% di privilegiati della categoria. Di quei 28.880 allenatori quasi tutti sono tra i dilettanti: tutele inesistenti, come i contratti. Si parla di accordi economici, sono solo annuali e con massimali prefissati. Un allenatore con abilitazione Uefa A (che permette di allenare tra i professionisti) può percepire dalla Serie D in giù non più di 30.656 euro annui. Ma chi ha interrotto gli studi al corso Uefa B – la maggior parte – deve accontentarsi, al massimo, di 18 mila euro all’anno, 1500 al mese. Pur allenando la stessa squadra del collega più “qualificato”. Chi firma questi accordi è fortunato, molte società offrono semplici rimborsi spese: un modo per non dover pagare l’allenatore dopo l’esonero. La pensione? Un miraggio: i contratti dilettantistici non prevedono contributi. E se non hai un’abilitazione professionistica, neanche lavorare in una società professionistica (si possono allenare le giovanili) ti tu-tela, perché non è obbligata a legar-ti con un contratto di lavoro subor-dinato. Quindi niente contributi. Quello che non cambia scenden-do di livello è la qualità della vita. «Esistono malattie professionali per i tecnici: il mal di stomaco, l’in-sonnia», spiega Renzo Ulivieri, pre-sidente dell’Assoallenatori, il sinda-cato di categoria. «Anche essere un buon papà diventa difficile, i miei 3 figli me lo hanno rinfacciato a lungo: una volta mia moglie ven-ne a dirmi che Barbara, la mia fi-gliola, aveva la febbre a 39. Io però con la testa non c’ero, pensavo a un mio giocatore, Walter Sabatini, che aveva 37.2».