È la seconda volta che ci incontriamo, Al.
«La prima quando fu?».
Nel 1981, in un teatrino Off Broadway, dove recitava "American Buffalo" di David Mamet. Fu formidabile.
«Davvero?! Ma è Mamet che è formidabile!».
Nelle battaglie di strada fra ragazzi, a New York, italiani ed ebrei una volta facevano comunella: ha mai provato qualcosa del genere, nel Bronx, il quartiere in cui è cresciuto?
«Eccome! Avevo un sacco di amici ebrei, alcuni assolutamente straordinari. Eravamo accomunati dalla povertà e dall’arte di arrangiarci. Ne ricordo uno specializzato nel rubare autobus, furgoni, camion, qualsiasi cosa potesse procurargli da mangiare.
Un ladro, certo, ma sempre con un libro di Dostoevskij in tasca».
La conoscenza della comunità ebraica newyorchese l’ha aiutata nel prepararsi al ruolo del patriarca ebreo cacciatore di nazisti?
«Uno lavora sempre sulle proprie esperienze, su ciò che conosce, che ne sia consapevole o meno. Il Bronx, anzi per la precisione il South Bronx in cui ho vissuto da ragazzo, è stato in tal senso una scuola straordinaria. Le nostre case avevano un rifugio, specialmente in estate: il tetto, dove ci trovavamo a fumare, bere, passare il tempo e guardare il mondo che ci circondava. Da lassù sentivi tutte le lingue e gli accenti della terra. E di ebrei ce n’erano tanti nel quartiere».
Ha interpretato altre volte la parte di un ebreo…
«Sono stato Shylock nel Mercante di Venezia , sia al cinema che a teatro. È un mondo, quello ebraico, che conosco molto bene.
Anche per questo il progetto di Hunters mi ha subito affascinato».
Cosa ha provato a occuparsi dell’Olocausto, nel 75esimo anniversario della liberazione di Auschwitz?
«Mi sento spiritualmente molto vicino agli ebrei. Ma l’Olocausto è un dramma così profondo che ti lascia senza parole: l’orrore è troppo grande. InHunters lo raccontiamo attraverso i flashback sulla vita nei campi, ma pure attraverso il retaggio che hanno lasciato. Un messaggio per il mondo di oggi, affinché quella tremenda tragedia non vada dimenticata. E si presti attenzione al ritorno dell’antisemitismo».
Prima "The Irishman", ora "Hunters": ha deciso di lasciare il cinema per i film in streaming e le serie tv?
«Veramente nell’ultimo anno ho girato anche C’era una volta a Hollywood ! Quanto allo streaming e alle serie tv: non è una scelta precisa. Spesso sono le coincidenze a determinare tutto.
C’è stato un tempo in cui non ho fatto più cinema per quattro anni.
La gente mi fermava a Central Park: "Ehi, Al, dove sei finito?
Torna sullo schermo, ti vogliamo vedere ancora al cinema!". I newyorchesi sono fatti così, ti dicono in faccia quello che pensano. Non ero tanto sicuro che avrei ripreso a fare cinema, non c’erano più storie che mi piacessero. Poi sono cominciati a scarseggiare i soldi. E la donna con cui vivevo mi ha detto: senti, amico, devi andare a lavorare! Così ho ricominciato. E sono ancora qui. Coincidenze».
Le serie tv adesso vanno per la maggiore: le guarda anche lei?
«Ho Netflix e Amazon, ma non guardo molta tivù, tranne lo sport, in particolare il football, che capisco meglio da quando girai Ogni maledetta domenicain cui interpretavo un allenatore. Però adesso che una serie tv l’ho girata anch’io, mi sa che ne guarderò delle altre».
E i suoi film, li riguarda?
«Li ho sempre guardati solo in fase di montaggio, finché si poteva cambiare ancora qualcosa, riparare un errore. Dopo, basta, non ne avevo più voglia, temendo di trovarci dei difetti. Ma recentemente ho cominciato a rivedere i miei vecchi film. Da solo eh, perché i miei figli non vogliono saperne (ne ha tre, ma non si è mai sposato, neanche con l’attuale compagna, di 40 anni più giovane di lui, ndr ) ».
Nostalgia?
«Un po’, perché rivedo sullo schermo persone che ho amato e non ci sono più. Ma la ragione vera è che li riguardo per imparare. Ci scopro cose che, all’epoca, non vedevo. Sono vecchio, ne capisco di più e quei film hanno per me un sapore nuovo. L’altro giorno ho rivisto Quel pomeriggio di un giorno da cani . E mi sono detto: mica male. Non solo io, beninteso, ma il regista Sidney Lumet, il montaggio, gli altri attori, a cominciare dal magnifico John Cazale».
Quali sono i suoi preferiti, fra tutti i film che ha girato?
«Come si fa a dirlo? Mi viene in mente il grande regista Elia Kazan, che durante una cerimonia in suo onore, quando proiettarono sullo schermo tutti i suoi film, disse: "Tutta quella roba l’ho fatta io? Non posso crederci!". L’altra sera, qui a Londra, un tipo mi fa: "Mister Pacino, lei vinse già un Bafta 44 anni fa!". E io: "Non è possibile! Io ho appena 44 anni!". Più o meno l’età che mi illudo di avere».
Dica i tre suoi che ama di più,
please.
«È come dire chi ami di più dei figli. Però, però… come faccio a non dire che non ho un legame speciale con Il padrino? È un film straordinario. Ed è quello che mi ha lanciato. E poi Serpico, certamente. Forse Scarface. Ma anche il già citato Quel pomeriggio di un giorno da cani. A ripensarci, purePanico a Needle Park era un gran film. Quasi quasi stasera me lo riguardo».