il Fatto Quotidiano, 14 febbraio 2020
Le sardine e la questione meridionale
Le Sardine sono un movimento. I movimenti stanno alle istituzioni (partiti, sindacati, ecc.) come un mucchio di sabbia friabile e volatile sta a un mattone solido, compatto, strutturato. Ogni movimento esprime più desideri allo stato nascente che bisogni consapevoli, più proteste contro qualcosa da superare che progetti di qualcosa da costruire. Si limita a esprimere esigenze e denunziare problemi; sta poi ai politici, ai tecnici e ai burocrati risolvere questi problemi: sono pagati per questo. I movimenti sono acefali, non hanno ancora leader nominati o eletti che possano parlare in nome di tutti. Inutile, dunque, rimproverare alle Sardine di non comportarsi come un’istituzione, come un partito: non lo sono e non è detto che riusciranno mai a esserlo. Tutti i partiti sono nati come movimenti, ma solo pochissimi movimenti riescono poi a diventare partiti. I Cinque Stelle sono un esempio concreto di queste difficoltà. La maturazione dei movimenti in partito può avvenire solo per crescita interna, perciò le raccomandazioni e i suggerimenti dei professori di professione, oltre a essere inutili, sono ridicoli. La road map che alcune Sardine stanno percorrendo nelle stanze dei bottoni può essere molto utile sia per un loro primo contatto softcon il mondo istituzionale, sia per i politici che, se intelligenti e sufficientemente umili, possono ricavarne spunti informati per le loro strategie. I resoconti degli incontri con il ministro per il Mezzogiorno e i suggerimenti che gli hanno offerto le Sardine mi sono parsi molto utili. LE REGIONI MERIDIONALI godono una posizione epicentrica, tra il nord e il sud, tra l’est e l’ovest del mondo. Hanno un clima invidiabile; un patrimonio storico e artistico tra i più densi del mondo. Eppure il loro reddito pro-capite è un terzo di quello piemontese o lombardo. Perché? Francesco Saverio Nitti ha dato la sua spiegazione politica, Salvemini la sua spiegazione geografica, Gramsci la sua spiegazione marxista, De Martino la sua spiegazione antropologica. Ma, tutte insieme, queste spiegazioni non riescono a rendere conto dell’auto – lesionismo, della bellicosità, della fatuità meridionali: di questa nostra incapacità a elevarci sopra tutto ciò che è effimero, mediocre, caotico. Secondo Pasquale Turiello (Go – verno e governati in Italiadel 1882), il nostro sottosviluppo economico e civile dipende dalla “s ci ol te zz a eccessiva degli individui... radice unica di più disordini che appariscono in forme e colori diversi”. E il termine “scio ltez za” si gnif ica mancanza di legami, di leggi, di no – mos tra i cittadini; equivale cioè proprio a quel concetto di anomìa che ha fatto la fortuna di Durkheim. Ne consegue che “individui così naturalmente e socialmente disciolti pregiano più le virtù solitarie che le civili e, tra queste, più quelle in cui si patiscono cose forti che quelle in cui si operi fortemente”. In un suo studio insuperabile su Napoli e la questione meridionale, Nitti individua (siamo nel 1903) quattro punti dolenti, che restano tuttora cruciali: la depressione ec o n om i c a, per cui il Pil della città è decisamente inferiore a quello di Roma o di Milano; la debolezza finanziaria per cui le banche e la Borsa di Napoli sono ridotte a una funzione gregaria rispetto a quelle di altre piazze; la patolo – gia dei rapporti sociali, per cui la solidarietà e la vivacità descritte da Goethe sono ormai degenerate in diffidenza, malumore e aggressività; la vita pubblica avvelenata dal disimpegno politico, dalla rissosità amministrativa, dalla carenza di progettualità, da ritardi operativi, dall’asservimento della sfera pubblica da parte dei politici faccendieri, degli speculatori economici, della criminalità associata. Ai tempi di Nitti le condizioni erano talmente diverse da quelle attuali che mai il grande sociologo lucano avrebbe potuto pensare al benessere come prodotto da creare e da vendere. In quegli anni il futuro era l’industria. Ma oggi siamo in tutt’altra situazione e Nitti, se dovesse riscrivere Napoli e la questione meridionale certo non punterebbe più sull’industria pesante ma prenderebbe in più seria considerazione, accanto a tutte le attività intangibili, anche quelle che riguardano la qualità della vita, non escluso il turismo. Le attuali circostanze generali sarebbero favorevoli allo sviluppo del Mezzogiorno perché, dopo aver perso per ben tre volte il treno dell’industria – lizzazione, un nuovo treno epocale gli passa accanto: il treno della società postindustriale. Ma per afferrare al volo questo treno prezioso occorre una dote che manca ai meridionali e i settentrionali possono vantare: la capacità organizzativa, la professionalità nella gestione efficiente delle risorse. PERCIÒ MI PARE geniale l’idea delle Sardine: un Erasmus dei giovani meridionali nelle università del Nord e dei giovani settentrionali nelle università del Sud consentirebbe ai meridionali di apprendere come ci si organizza ai settentrionali come non sprecare le risorse