Corriere della Sera, 13 febbraio 2020
Biografia di Amy Klobuchar
MANCHESTER (New Hampshire) Nella notte elettorale del New Hampshire, il quartier generale di Amy Klobuchar, a Concord, è stato il meno gettonato dai giornalisti. Errore. La senatrice del Minnesota, 59 anni, si è rivelata la vera sorpresa delle primarie vinte di misura da Bernie Sanders su Pete Buttigieg.
Alla vigilia c’era stato qualche segnale, ma probabilmente neanche lei si aspettava uno squillante 19,8%: 56 mila voti, più del doppio dell’ex vice presidente Joe Biden e di Elizabeth Warren. La senatrice del Massachusetts, parlando dopo la sconfitta davanti ai suoi sostenitori, le ha rivolto le parole più calde: «Voglio congratularmi con la mia amica e collega Amy, anche perché ha dimostrato quanto gli opinionisti si sbaglino quando trascurano le donne».
In realtà fino all’altra sera, Amy Klobuchar aveva riscosso grande successo di critica, ma non di pubblico. Il 19 gennaio scorso il New York Times l’aveva indicata come la candidata migliore, insieme proprio con Elizabeth Warren. Si leggeva nell’editoriale del quotidiano: «La visione di Klobuchar va oltre il gradualismo. Considerata la polarizzazione a Washington e altrove, le migliori possibilità di mettere in pratica numerose politiche progressiste vanno assegnate a un’amministrazione Klobuchar». E anche nel New Hampshire si sono schierati con lei tre dei principali giornali, a cominciare dal conservatore Manchester Union Leader, che l’ha lanciata con questo giudizio: «Ha la forza e la fibra per tenere testa al “Tweeter in Chief”» cioè Donald Trump. I pundit, i commentatori, dunque sono con lei. E la senatrice cura con attenzione i rapporti con i media, se non altro perché, come ha ricordato l’altra sera, è figlia di un paperman, Jim Klobuchar, immigrato sloveno, popolare giornalista sportivo dello Star Tribune di Minneapolis.
Amy usa spesso la sua biografia come strumento di comunicazione politica. Racconta spesso come il padre sia stato a lungo un alcolista (oggi ha 91 anni ed è a posto), come la sua famiglia abbia fatto «grandi sacrifici» per consentirle di laurearsi in Scienze politiche a Yale e poi in legge all’Università di Chicago. E poi ci sono quelle che definisce le sue «conquiste». Ha cominciato a fare politica con Walter Mondale, che poi diventerà vice presidente con Jimmy Carter nel 1976. In parallelo percorreva la carriera da avvocato e poi da procuratrice nella periferica contea di Hennepin, nell’Illinois.
Il salto arriva nel 2006, quando si candida al Senato di Washington: «Sono stata la prima donna a diventare senatrice per il Minnesota». Ora è convinta di essere la concorrente «più attrezzata», «più esperta» in lizza nelle primarie. L’unica in grado di battere davvero Trump.
Il percorso, però, è lunghissimo. La media dei sondaggi, elaborata dal sito RealClearPolitcs la colloca ancora nella parte bassa del tabellone, nonostante l’exploit nel New Hampshire. A livello nazionale è data al 4,6%. Percentuali ancora più basse nei due Stati in cui si voterà tra pochi giorni: in Nevada viaggia sul 3% e in South Carolina al 2%. Messa così la sua parabola sembra destinata a spegnersi presto. Però serve cautela: stiamo verificando giorno dopo giorno come i numeri possano cambiare rapidamente. Amy è in piena corsa e adesso sarà al centro dell’attenzione: è il suo «momentum». Ha preso le misure nei dibattiti televisivi meglio di altri. E a quanto pare è riuscita a levigare la sua reputazione di boss tirannico, che una volta costrinse un collaboratore a lavarle il pettine con cui aveva mangiato un’insalata. Klobuchar annunciò la sua candidatura un anno fa, il 10 febbraio 2019, sotto una tempesta di neve, senza ombrello o un copricapo: «Sono una dura, sono del Midwest, pretendo il massimo da me stessa e sarò presidente degli Stati Uniti».