la Repubblica, 13 febbraio 2020
Il problema della spazzatura nello spazio
Attorno al nostro pianeta girano vorticosamente, e hanno iniziato a farlo nel 1957, anno del lancio dello Sputnik, oltre 34.000 oggetti artificiali – satelliti, serbatoi vuoti sganciati dai razzi, rottami frutto di collisioni – più grandi di 10 centimetri. Per un peso complessivo stimato in 8.400 tonnellate. «Solo il 6% di questi oggetti è operativo. Tutti gli altri sono considerati “spazzatura spaziale”, e visti solo come minacce di collisione per i satelliti in funzione, visto che la velocità media degli oggetti orbitanti è di 27.000 km/h», spiega Alice Gorman, docente di scienze sociali alla Flinders University di Adelaide (Australia) e autrice del saggio Dr. Space Junk vs the Universe: archaeology and the future (ed. Mit Press).
«Tutto ciò che si trova nell’orbita terrestre più bassa (2.000 km dalla Terra) tornerà, per effetto della gravità, sul pianeta, ma potrebbero volerci centinaia d’anni. Mentre ciò che è in orbita geostazionaria salirà col tempo ancora più in alto e rimarrà nella cosiddetta “orbita cimitero”». È un problema destinato a crescere di importanza perché le orbite saranno sempre più affollate: già solo la SpaceX di Elon Musk potrebbe infatti lanciare fino a 12.000 nuovi satelliti per il progetto Starlink, pensato per portare connettività Internet in ogni angolo del pianeta. Naturale, quindi, che cresca il desiderio di rimuovere la “spazzatura spaziale”. «Anche per evitare lo scenario più pessimistico, quello immaginato dall’astrofisico Donald Kessler: un continuo susseguirsi di collisioni tra rottami che col tempo fanno incrementare esponenzialmente la quantità di detriti orbitanti, formando una nube così fitta che ogni razzo che tentasse di lasciare la Terra finirebbe maciullato da velocissime schegge volanti», spiega Gorman.
«È uno scenario del tutto ipotetico, però c’è anche chi ha temuto che si andasse in quella direzione quando, nel 2007, un test missilistico cinese distrusse il satellite Fengyun 1C, creando in un colpo solo 2377 detriti e oltre 150.000 frammenti inferiori al centimetro». Questo non significa che dovremmo rimuovere o distruggere tutti gli oggetti orbitanti privi di scopo pratico: alcuni di essi conservano un valore culturale inestimabile, così dicono gli “archeologi dello spazio” come Alice Gorman. «Penso a Vanguard 1, che è il più antico oggetto umano oggi nello spazio, lanciato nel 1958 come risposta americana allo Sputnik. O Syncom 3, il primo satellite geostazionario. Oppure Australis Oscar V, satellite amatoriale costruito con mezzi di fortuna e mandato in orbita nel 1970 da un gruppo di studenti di fisica dell’Università di Melbourne», spiega la studiosa. «Un altro esempio è Palapa A1, il primo satellite indonesiano, lanciato nel ‘76: è più di un semplice pezzo di metallo orbitante, per gli indonesiani, perché il suo lancio ha rappresentato uno sforzo che ha unificato un arcipelago di centinaia di isole diverse per lingua e per tradizioni culturali». Nel pianificare la rimozione della spazzatura spaziale, bisognerà salvaguardare ciò che merita. Anche perché conservare questi oggetti spaziali di valore storico e culturale non significa riportarli sulla Terra per metterli in museo. «Sono oggetti che hanno valore proprio perché sono ancora in orbita: è quello il loro luogo naturale», spiega Gorman.
«Con questi satelliti l’Antropocene si è esteso allo spazio. Quando parliamo di Antropocene immaginiamo strati geologici che gli archeologi del futuro riconosceranno perché marcati dalle attività umane, come la plastica o le tracce dell’uso di energia nucleare. È come se in orbita attorno alla Terra avessimo un ulteriore strato – tecnologico invece che geologico – che testimonia ciò di cui siamo stati capaci». Un’altra componente di questo strato esterno dell’umanità è la quantità di oggetti artificiali che abbiamo lasciato sulla Luna, per un peso di 190 tonnellate. «Dovremo pensare anche a proteggere siti di importanza storica come la base Tranquillità del primo allunaggio», spiega Gorman. «È facile immaginare che in un futuro prossimo esisterà un turismo lunare fatto da rover telecomandati per esplorare la superficie. Bisognerà evitare che rovinino le tracce lasciate da Armstrong e Aldrin». In attesa che l’Unesco alzi gli occhi verso il cielo.