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 2020  febbraio 13 Giovedì calendario

Smog, la Serbia come l’India

Prima di iniziare a leggere spalancate le narici, aspirate molto forte, gonfiate i polmoni per darvi coraggio. Poi arrivate alla fine di “Aria tossica: il costo dei combustibili fossili”, ultimo dettagliato report di Greenpeace sul male globale dell’inquinamento atmosferico. Lì dentro ci sono i numeri dei decessi totali, cifre e conseguenze pagate per l’uso di carbone, petrolio, gas: quasi cinque milioni di morti premature all’anno, insieme a circa 3.000 miliardi di dollari perduti, ovvero otto ogni giorno, che corrispondono al 3,3 per cento del Pil del mondo.
È l’allarmante e meticolosa ricostruzione di quanto costa l’inquinamento alla terra e alla sua economia affossata senza energie rinnovabili. Una piaga anche italiana dove si contano 56 mila decessi prematuri, in un’Europa dove in totale ce ne sono stati 412 mila in un anno. Aria tossica, “il più importante rischio ambientale per la salute umana”, ammette Alberto Gonzales, Agenzia Europea dell’Ambiente.
C’è una macchia più scura delle altre sulla mappa geografica del veleno invisibile. Quella dei Balcani, dall’orizzonte perduto in una nebbia cronica e perenne, composta da microscopiche particelle letali e polveri, che impedisce di vedere mentre cammini, pedali, guidi, vivi. Neri, grigi o completamente bianchi sono i fumi che attraversano come nuvole veloci le strade e i cieli da Skopje a Belgrado, da Zagabria a Sarajevo. Capitali che secondo Airvisual, istituzione del monitoraggio dell’aria, sono tra le più inquinate al mondo, non solo d’Europa.
In attesa di una rivoluzione verde dell’energia tra miniere e ciminiere si muore in Bosnia. La polizia a Sarajevo è abituata a ripetere che “la sospensione delle attività scolastiche è dovuta, se necessaria”, avvisa quotidianamente i cittadini di dover indossare le maschere protettive e vieta l’uso di veicoli che non rispettano norme europee nella valle dove l’aria non circola, rimanendo prigioniera delle rocce che circondano la città. “Volevo fare un pupazzo di neve ma non potevamo uscire fuori, dobbiamo indossare le maschere sulla faccia”. È la voce di Sarah Kaidic, 9 anni, tra i banchi della scuola Samokovlija nella Capitale, dove i bambini sono arrabbiati “con i proprietari delle grandi fabbriche”, riporta l’ultimo dossier stilato dall’Unione europea. Oltre un anno: è quanto vivono in meno i cittadini delle 19 città dei Balcani occidentali analizzate in questo rapporto UN, secondo cui l’inquinamento dell’aria è responsabile supremo in luoghi come Tetovo, Macedonia del Nord, del 19% delle morti totali in generale. Malattie vascolari o respiratorie, infezioni ai polmoni o infarti, cancro. L’aria sporca è la causa certa della loro fine, finisce nei polmoni dei balcanici e spezza la vita ad almeno sette milioni di persone ogni anno in quell’area. Da un Paese all’altro, senza dogane alla frontiera di alcuna nazione per frenare i veleni. La linea che si traccia a quelle latitudini è rossa: “Le persone sono esposte alle più alte concentrazioni di inquinamento in Europa”. In ordine sparso e per effetto domino si tratta di Albania, Bosnia, Kosovo, Montenegro, Macedonia del Nord, Croazia e Serbia. Perché “l’inquinamento non conosce confini”, spiega un report di Global Alliance on Health and Pollution: “Non solo nell’aria, ma nell’acqua e nei cibi che viaggiano da uno Stato all’altro”. Auto obsolete, stufe a carbone, industrie che non rispettano alcuna norma ambientale soprattutto in Bosnia e Serbia: a Tuzla, dove i limiti legali di emissione di gas tossico superano i livelli consentiti per 252 giorni l’anno, la centrale a carbone non è stata chiusa ma anzi ampliata da una compagnia cinese che l’ha rilevata, e dal Dragone arriva anche la Zijing Mining, che ha comprato il complesso minerario di Bor in Serbia. Vecchie nemiche di guerra, oggi città gemelle dall’ossigeno malato, sono le Capitali di Croazia e Serbia. Storie diverse eppure uguali. All’ospedale di Zagabria riferiscono che “in 15 anni metà dei malati hanno sviluppato allergie, l’inquinamento distrugge le membrane delle mucose respiratorie”. I colleghi dell’istituto pediatrico di Belgrado fanno dichiarazioni pari: “Registriamo un allarmante aumento di infezioni respiratorie”, conferma Andrej Sistaric, Istituto della Salute pubblica serba.
Nessuna restrizione rigorosa o decisione governativa ha invertito il timone dei politici serbi che parlano di “smog stagionale, che passerà in primavera”, mentre un nuovo inceneritore è stato costruito a Vinca, nei pressi della Capitale, nonostante la banca di investimenti europea si sia rifiutata di costruirlo, perché non rispetta standard di quell’Unione di cui la Serbia vuole far parte. A Belgrado, la quarta città più inquinata al mondo secondo Airvisual, la prima in Europa con più morti premature per mancanza di tutela ambientale, i cittadini sono scesi con il volto coperto dalle mascherine chirurgiche al grido di Ne davimo Beograd, non abbandoneremo Belgrado. Sono parole di denuncia che come pietre vengono periodicamente lanciate nello stagno della politica della regione che non modifica rotta né direzione. L’unico che la cambia è il vento, che trasporta polveri, veleni e morte ancora un po’ più in là.