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 2020  febbraio 12 Mercoledì calendario

Periscopio

Non andrei mai con un uomo, neanche sotto tortura. Massimo Cacciari, filosofo (Claudio Sabelli Fioretti). Il Venerdì.
La Dc ha governato l’Italia per oltre 40 anni perché assecondava lo spirito degli italiani, che non governò il maggior dinamismo di sempre. Quell’Italia era come la Cina di oggi. Marco Follini, vicepremier in un governo Berlusconi (Concetto Vecchio). Il Venerdì.

Salvini è riuscito a portare la Lega dal 4 al 32% perchè molto più intelligente e intraprendente di Bossi, il quale mirava solo a costruirsi una fortuna personale. Salvini è ambizioso, vuole passare alla storia. Franco Rocchetta ex leader della Lega (Stefano Lorenzetto). Corsera.

Non basta mettersi con il capo di turno. La cosa più complicata è non restare soli. Come adesso, che Orfini cammina via con le mani in tasca. Bisognerebbe chiedergli: onorevole Orfini, cosa ha sbagliato? Ma lui non risponderebbe (e D’Alema ne sarebbe fiero). Fabrizio Roncone. 7 Corsera.

Nella hall dell’albergo Raphael, appostati per ore, trovavi il sottoscritto, l’indimenticabile Guido Quaranta o l’ex direttore di Repubblica Ezio Mauro. E l’attesa, bene o male, alla fine veniva premiata da Craxi con un’intervista, una notizia, una soffiata. Augusto Minzolini, il Giornale.

Discussioni in Paradiso. In quel momento entrano profumati e a braccetto Mariano Rumor ed Emilio Colombo, entrambi entusiasti di Conte: «Un vero leader. Un padre premuroso. È sempre così curato ed elegante. Ci ha conquistato subito, da quando l’abbiamo visto in versione casual per la prima volta, con un girocollo di lana e seta nera, euforico e sorridente dietro Luigi Di Maio in quel video dopo le prime proiezioni della vittoria dei grillini alle elezioni...». «Sembrava un perfetto boy scout in gita, altro che Renzi!», esterna Andreotti. Luigi Bisignani, il Tempo.

Ho tentato di leggere la Repubblica in treno, ma è così mal scritto, così noioso, che vi ho subito rinunciato. Perché i giornalisti italiani di destra hanno di gran lunga più spirito, più stile, più humour di quelli di sinistra? Perché Scalfari intinge la sua penna nel cemento armato e Feltri nell’argento vivo? Gabriele Matzneff (Stenio Solinas). il Giornale.

Contro l’orwellismo strisciante occorre una chiamata alle armi (politiche, s’intende) in difesa della libertà dei cittadini e di quella dei politici che li rappresentano. Andrea Cangini. Il Giornale.

Meritava il Nobel Handke? Lui è bravo, è il Nobel che fa schifo. Limonov (Nicola Mirenzi). Huffington Post.

Il segretario del Pd, Nicola Zingaretti? Se la sua idea di rinnovamento della sinistra è un ritorno alla Ditta, ci saranno sorprese amare. Lui non è un leader, è il segretario, l’amministratore. Il Pd è la scuola dei bravi amministratori emiliani. Zingaretti ha frequentato la versione romana, con alle spalle il genio oscuro di Goffredo Bettini. Claudio Martell, già numero due del Psi (Vittorio Zincone). 7 Corsera.

Sono nato nel ’67. Noi siamo cresciuti in un’epoca di grande prosperità, fratelli minori di chi aveva ucciso la musica pop, considerata nemica dell’ideologia. Noi la politica l’abbiamo subita, non ne sapevamo niente e pensavamo di essere inferiori rispetto ai «grandi». Gabriele Muccino, regista (Paola Jacobbi). il Venerdì.

Heiner Müller, un drammaturgo della Germania orientale che è stato esposto per tanti anni alle falsificazioni di regime, ha scritto che non bisogna sperare in due le parole «dicendo con una bocca sola due cose diverse» perché «nell’ingranaggio del mondo soltanto le parole rendono riconoscibili e inconscibili le cose!». Nel nostro sistema politico le parole sono state spezzate non in due ma in quattro, non divise ma sminuzzate, sbriciolate, ridotte a schegge. E questo è forse l’occultismo più pericoloso, quello che ha reso il Paese sconosciuto ai partiti, ai governi e soprattutto alle Camere, dove si parla di più. Saverio Vertone, Le rivoluzioni incrociate. Passigli Editori, 2001.

C’è, negli attuali gerenti del cattolicesimo, un tale rigetto per la tradizione da ripudiare perfino ciò che appare nero su bianco nelle Scritture. Anni fa, il capo dei Gesuiti, Arturo Sosa Abascal, congregato di papa Francesco, se ne uscì con una battuta che pareva una barzelletta. Rispondendo ai prelati che chiedevano a Bergoglio (noto per il «chi sono io per giudicare?») di condannare con forza il peccato come fa Gesù nel Vangelo, esclamò: «Ciò che ha veramente detto Gesù va ripensato. Al tempo, infatti, nessuno aveva il registratore». Battuta che gettava alle ortiche l’intera biblioteca su cui poggia il cristianesimo. I frutti della trovata sono ora maturati con la riforma del testo evangelico del Padre Nostro. Giancarlo Perna. la Verità.

Ogni anno quarantamila persone, quarantamila inetti, imbecilli, ubriaconi, psicopatici, vagabondi, poveri diavoli usciti improvvisamente dai gangheri, e gente classificabile soltanto come totalmente malvagia, venivano arrestati nel Bronx. Tom Wolfe, Il falò delle vanità. Mondadori, 1988.

Il suo confino, ai tempi del fascismo, era un paesotto ossuto della montagna calabra: appena un gomitolo oscuro di casupole, abitate da contadini e pastori, più vicini agli animali con i quali vivevano in promiscuità che ai pochi possidenti rinserrati nei loro stinti palazzotti con le facciate di pretesa gentilizia. Con questi, naturalmente fascisti, a Isacco non era possibile parlare. E parlare non poteva con quei miseri contadini, per la loro indifferenza a ogni cosa e agli stessi uomini dei quali non si ritenevano simili. Luigi Preti, Giovinezza, giovinezza. Mondadori, 1964.

«Quali partigiani albanesi?», esclamò Cioffi. «Qui a porto Edda di partigiani non ce ne sono. Stanno sulle montagne all’interno» indicò vagamente con la mano: «E a quel che si sente, sono, per fortuna, occupati soprattutto a combattersi tra loro. Perché qui in Albania ci sono tra varietà di partigiani: sei al corrente di questo?». «Tre varietà?». «Sì, i nazionalisti, i comunisti e i ballisti. Questi ultimi, fra tutti, sono i più svelti nel fregare le capre ai contadini. Di loro non sappiamo quasi altro». Eugenio Corti, Il cavallo rosso. Ares, 1983, 33ma edizione.

Su questo pontile che arriva dentro il mare, in pomeridiana stanchezza miro l’alga mossa di filamenti tra onda e roccia, dove minuti pesci luccicanti boccheggiano. Non grevi indigeni, tanto meno turisti; ma solo il lento tramonto e, dal mare, il residuo silenzio e la brezza che dà ai gabbiani le loro così lunghe pacificate spirali. Geminello Alpi, Ai padri perdòno. Mondadori, 2003.

Mi sento scoppiare di salute solo perché oggi non ho la febbre. Roberto Gervaso. il Giornale.