il Fatto Quotidiano, 12 febbraio 2020
Amelia Rosselli raccontata da Renzo Paris
“A vent’anni, nel 1950, Amelia visse in una Roma che era un covo di spie della Cia. Gli americani controllavano gli artisti in odore di comunismo. Ma le denunce di Amelia non venivano prese in considerazione a causa della sua schizofrenia paranoide. Fu sempre vittima della Storia: dall’assassinio del padre Carlo, esule antifascista, alla fuga da ebrea in un sobborgo di New York a bordo di una nave mercantile”.
Renzo Paris, poeta e romanziere, è impegnato da tempo in un prezioso recupero della memoria del nostro Novecento letterario. Dopo i volumi dedicati a Moravia, Silone, Pasolini, torna in libreria con Miss Rosselli, edito da Neri Pozza. Protagonista della sua ultima fatica è Amelia Rosselli, reputata dalla critica una delle voci più alte della nostra poesia e i cui versi sono stati consacrati in un Meridiano. “Il prossimo 28 marzo avrebbe compiuto 90 anni”, ricorda commosso Paris, evocando quel fatale 11 febbraio 1996, quando l’amica poetessa si gettò dal ballatoio della sua mansarda in via del Corallo, una strada vicina a Piazza Navona. “Era depressa e tormentata da un sedicente Parkinson. Viveva in ristrettezze economiche, tirava avanti con il sussidio della Bacchelli. Forse nessuno avrebbe potuto salvarla. Si suicidò proprio l’11 febbraio, come trentatré anni prima la sua amata Sylvia Plath”.
Paris, lei racconta che Amelia Rosselli era ossessionata dai servizi segreti Usa.
Suo cugino, Aldo Rosselli, mi raccontò che passò tutto un pomeriggio sotto un platano del Lungotevere in attesa che Amelia scendesse dai rami. Si era rifugiata lì per scampare ai droni della Cia. Amelia riferiva sempre di un tizio biondo che la pedinava giorno e notte. Ricordo un viaggio in treno da Roma a Milano con la mia fidanzata di allora. Quando Amelia seppe che lei lavorava all’ambasciata americana ammutolì e una volta giunti a Milano si dileguò. Andò persino a Mosca a chiedere asilo politico quando l’Unione Sovietica era già in via di dissoluzione.
Nell’ambiente letterario la reputavano tutti una pazza…
Sì, da Moravia alla Morante, era un coro unanime. Nessuno in fondo si scandalizzava degli elettroshock a cui veniva sottoposta. Sulla spiaggia di Sabaudia riferii a Moravia un giudizio di Amelia. Lei sosteneva che Moravia durante il Ventennio fosse un fascista, che aveva rinunciato a combattere il regime. Come punto da una vespa Moravia scattò in piedi e puntandomi il dito sbottò: “Ma lo vuoi capire una buona volta che mia cugina è matta?”. Prima che la Morante mi togliesse il saluto – non amava gli amici intimi di Alberto e non gradì una mia stroncatura a La Storia – sentii pure Elsa dare della matta ad Amelia, la quale dal canto suo bollava Elsa con la taccia sprezzante di “signora borghese”.
Anche un amico fedele come Dario Bellezza scontò il temperamento inquieto di Amelia…
Lei, che lo scoprì e lo introdusse nel mondo letterario, lo accolse nel suo appartamento in affitto che stava vicino a piazza Trilussa. Amico di entrambi, mi ritrovai tra due fuochi di un rapporto burrascoso. Amelia lamentava che i marchettari che Dario introduceva in casa erano ladri e spie della Cia. Dario, che la venerava come una madre, restò deluso quando lei si risolse a cacciarlo di casa. Anni più tardi però ricucirono i rapporti. Con gli uomini ebbe sempre relazioni di breve durata. Penso ai grandi amori della sua vita. Il poeta Rocco Scotellaro, che le insegnò l’etnomusica. Il giornalista Mauro Misul, che interpretò il professore di filosofia in Amarcord di Fellini. Per non parlare dei suoi “amorastri”: da Renato Guttuso a Mario Tobino.
È vero che Rosselli aveva un carisma magico?
Aveva uno sguardo radente. I suoi occhi azzurri, cangianti, contemplavano sia il visibile che l’invisibile. Era una sciamana, consultava I Ching e faceva la medium nel “gioco del bicchierino”. Conosceva il rotolo cinese delle preghiere, a cui si ispirava per le sue poesie che tirava fuori dal buco nero del suo inconscio. Quando, di notte, si sedeva al tavolino, era circondata dai poeti di tutti i tempi. Sì, nel nostro Novecento pochissime figure hanno avuto il suo carisma. Ricordo le sue letture al famoso festival di Castelporziano del 1979. Con i suoi versi tacitò la folla dei minestrones (appellativo mutuato da una pentola gigante di minestrone portata sul palco dai giovani, prepotenti e volgari, che formarono il pubblico di quel reading collettivo). Diversi grandi nomi furono travolti dagli schiamazzi ma non Amelia, l’unico poeta non fischiato.