il Fatto Quotidiano, 12 febbraio 2020
Se pure il make up di Trump diventa un’arma contro Rula
Dopo che Rula Jebreal è stata a Sanremo e ha raccontato lo stupro subito dalla madre e il suicidio avvenuto anni dopo, c’è stata una tregua apparente.
Qualche giorno in cui i sovranisti, forse, erano troppo presi dal domandarsi perché Rita Pavone non avesse proposto una cover efficace di 24.000 baci, tipo 24.000 bacioni, o perché Ghali sia di origini tunisine ma canti anziché spacciare e nessuno gli abbia mai citofonato per domandargli come mai. Poi, all’improvviso, i sovranisti si sono risvegliati dall’insolito torpore e sono tornati a sparare sul loro bersaglio preferito: Rula Jebreal.
Colei che al Festival ha creato più allarmismo del Coronavirus in Cina, colei la cui presenza ha creato uno stato di agitazione nel Paese che neppure all’avvicinarsi della nube di Chernobyl, colei che si pensava potesse compiere gesti inattesi, sovversivi sul palco, e poi è finita che aveva un più alto tasso di imprevedibilità uno che si chiamava Bugo. E siccome Rula, la scomoda Rula, il personaggio più mal digerito della manifestazione tra tentativi di esclusione e inviti a “parlare solo di donne”, alla fine è stata, forse, la presenza più apprezzata, è finita che bisognava ridimensionarla e delegittimarla, sporcare il telo bianco e imbrattare il suo momento di gloria con polemiche sceme o volgari, a seconda delle fonti.
L’ultima, da un paio di giorni, riguarda un suo tweet in cui commenta un’impietosa foto di Trump con i capelli mossi dal vento e un evidente stacco cromatico tra l’ovale del viso (color zucca) e il collo. Il commento di Rula, per la cronaca, è lapidario: “Il presidente degli Stati Uniti d’America”. Tutto qui. Della serie: non ce lo meritiamo. O almeno, se ce lo meritiamo, che impari a spalmare il fondotinta con la spugnetta in silicone di Melania.
I sovranisti del citofono accanto hanno iniziato a dedicare a Rula una serie di tweet e articoli il cui tema ricorrente è “Rula e il body-shaming contro Trump”. Il body-shaming. A parte che fa già ridere l’idea di Trump nel ruolo della vittima, che è tipo immaginare Romano Prodi nel ruolo del chitarrista accanto ad Achille Lauro, non si capisce bene dove sia la gravità della battuta.
“Intanto la foto è stata diffusa dal team di Trump stesso, ma cosa c’entra il fondotinta col corpo? È make up-shaming?”, commenta Rula quasi divertita dall’inutilità della polemica. Tra parentesi, se c’è qualcuno che ha spesso deriso le donne per il loro aspetto è proprio lo stesso Trump. “Ècosì brutta dentro e fuori. Capisco perchè suo marito l’ha lasciata per un uomo”, disse, tanto per citare un episodio tra i tanti, della giornalista Arianna Huffington.
Prima della foto di Trump, comunque, c’era stata quella di Rula con Weinstein di qualche anno fa e spammata ovunque dai suoi nemici durante Sanremo. Una foto scattata dai fotografi a una prima del film Miral, scritto da Rula e ispirato alla sua vita. “Weinstein ha distribuito il mio film, l’ho incontrato due volte, fine della storia. Ha distribuito i film a mezzo mondo, una foto con lui con significa certo che sapessi quello che poi è emerso. Queste persone cercano pretesti per sminuirmi, non tollerano che il mio monologo a Sanremo abbia toccato il cuore della gente, devono buttare fango, distrarre dalla potenza del dibattito sulle donne. Che pubblichino le foto delle donne uccise nelle ultime settimane dagli uomini, anziché quella del mio commento a Trump col fondotinta sbagliato, se vogliono essere utili a qualcosa!”, dice Rula con la tranquillità di chi è abituato a battaglie più importanti.
Poi c’è chi ha polemizzato sui dati citati nel monologo, quelli sulle molestie sul lavoro, nonostante siano dati forniti dall’Istat. Chi ha confrontato il monologo col suo vecchio libro La strada dei fiori di Miral, affermando che nel libro ci sono particolari diversi da quelli raccontati a Sanremo, solo che il suo libro è nella categoria “fiction”, non “autobiografia” e lei stessa afferma che era solo ispirato alla sua vita.
Ci sono stati i titoli sprezzanti dei giornali, tra tutti “La Jebreal è più brava come valletta”, come se raccontare la storia di uno stupro e di un suicidio fosse roba da stacchetto di Striscia la notizia. C’è stata la nota giornalista che di mestiere ormai sussurra la strategia politica a Salvini che ha twittato “questo femminismo peloso di Rula Jebreal!”, perché in effetti parlare di violenza sulle donne è roba da femministe rompicoglioni, le altre amano essere riempite di mazzate e fate monologhi su questo, non su quelle che si lagnano.
Infine, sul fronte “sovranisti vs Jebreal” c’è un’unica buona notizia. Anche Diego Fusaro se l’è presa con Rula e il suo monologo. Ha detto: “Un tema portante è stata la dissacrazione e la profanazione del sacro: da un lato abbiamo assistito alla ripetizione sempiterna del verbo unico globalista nel sermone di Rula Jebreal. (…) Per il discorso genderisticamente corretto il maschio deve essere colpevole e discriminato perché la nostra deve essere l’epoca senza uomini e senza padri”.
Premettevo che l’intervento di Fusaro è una buona notizia perché anche il sovranista più misogino, quello che toglierebbe di nuovo il diritto di voto alle donne e le manderebbe tutte a fare le mondine nel Vercellese, dopo aver ascoltato il monologo stracciamaroni di Fusaro, ha rivalutato quello di Rula. Dunque, un bel colpo per le femministe.
Un bel colpo per la Jebreal che al momento esce indenne dallo spietato dossieraggio della destra, quella destra “alla Meloni” che trovava ingiusta, sul palco, la presenza di Rula “senza contraddittorio”. In effetti Amadeus, l’anno prossimo potrebbe invitare di nuovo Rula e sostituire Fiorello con un altro comico: Bill Cosby. Peccato non averci pensato prima.