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 2020  febbraio 12 Mercoledì calendario

La verità sul caso Neruda: fu assassinato?

«E come il grano, il popolo infinito unisce radici, accumula spighe, e un mezzo alla tormenta scatenata sale alla chiarità dell’universo». Un uomo declama a gran voce un frammento del Canto general nel mezzo del corteo. Da tutte le strade, sbucano donne e uomini. Esce il popolo per accompagnare il ’suo’ poeta nel viaggio metropolitano fino al cimitero generale. Non si fa intimidire dalle camionette militari e dai soldati con i mitra puntati. Ormai, accanto al feretro grigio, s’è riunita una piccola folla. All’unisono grida: «Compagno Pablo Neruda, presente!». E intona L’Internazionale.
È una mattina fredda di primavera australe quel 25 settembre 1973. Sono passate due settimane dal golpe che ha rovesciato Salvador Allende e portato, al palazzo presidenziale de La Moneda, il generale Augusto Pinochet. Il Cile piange la perdita della democrazia. E del suo cantore più illustre. Scomparsi quasi simultaneamente, a distanza di dodici giorni: l’11 settembre il colpo di stato, il 23 settembre la morte di Neruda alla clinica Santa María di Santiago. Una crudele coincidenza? La risposta di Roberto Ippolito, giornalista e scrittore, è contenuta nel titolo del nuovo libro: Delitto Neruda, appena uscito per ChiareLettere (pagine 240, euro 17,60). Il poeta e premio Nobel – sostiene l’autore – è stato ucciso dalla macchina repressiva del regime. Non si tratta di un’accattivante teoria del complotto buona per vendere più copie. In Cile, dal 31 maggio 2011, è in atto un’indagine giudiziaria per appurare la verità sul caso Neruda.
Nel saggio, scritto con il tono del romanzo, Ippolito ripercorre passo passo i nove anni di inchiesta, mettendo in luce le molte contraddizioni della versione ufficiale scritta nera su bianco – ma da più mani, si appurerà in seguito – sul certificato di decesso: la morte del Nobel è avvenuta per cachessia causata dal cancro alla prostata. Il leit-motiv viene ripetuto per tutta la durata della lunga dittatura che, al contempo, organizza roghi pubblici delle opere del “poeta comunista”. Gli viene vietato perfino di essere sepolto nel giardino della sua casa di Isla Negra che, in realtà, non è un’isola ma un pittoresco villaggio di pescatori bagnato dal Pacifico. Si deve attendere il ritorno delle democrazia perché il poeta possa riposare di fronte all’oceano. E perché, liberati dalla cappa di terrore, possano iniziare a emergere i dubbi.Il primo a insinuarli è Manuel Araya, autista 27enne di Neruda tra il 1972 e il 1973. Una ’colpa’ punita dal regime con cinquanta giorni di detenzione e feroci torture allo Stadio nazionale di Santiago. Un inferno a cui è stato strappato grazie all’intervento del cardinale Raúl Silva Henríquez, arcivescovo della capitale e figura di primo piano nella difesa dei diritti umani in quella stagione oscura.
In un’intervista a “El lider” de San Antonio, pubblicata il 26 giugno 2004, Araya afferma che non sarebbe stato il tumore a uccidere il Nobel bensì un’iniezione di veleno. Lo stesso autore di Venti poemi d’amore e una canzone disperata gli avrebbe mostrato il segno della puntura sulla pancia. Nonostante il contenuto potenzialmente esplosivo della rivelazione, pochi in patria o all’estero vi prestano attenzione. Almeno fino a quando non viene ripresa, a sette anni di distanza, dalla rivista messicana Proceso, l’8 maggio 2011. A quel punto, il Partito comunista presenta la querela, accettata dal magistrato Mario Carroza. Alla battaglia giudiziaria si unisce, in seguito, Rodolfo Reyes Muñoz, nipote di Neruda e rappresentante legale dei suoi discendenti.
Il corpo del poeta viene di nuovo strappato a Isla Negra per gli esami post-mortem. Gli toccherà un ennesimo funerale – il quarto da quando è stato sepolto nel 1973 – prima di ritornarvi. Nel frattempo, molteplici crepe si vanno aprendo sul muro della “verità ufficiale”.
La causa del decesso – appurano gli esperti – non può essere la cachessia. Il poeta non ne aveva nessuno dei sintomi: deperimento, annebbiamento delle facoltà mentali, alterazioni delle proteine. Egli soffriva sì di cancro alla prostata ma, al momento del ricovero, «non ci sono prove di un rischio imminente di morte». Allora che cosa ha stroncato Neruda? Difficile dirlo dato che la cartella clinica è andata inspiegabilmente perduta. Non è l’unico fatto insolito accaduto alla Santa María. La stessa dove, il 22 gennaio 1982, nove anni dopo il Nobel, viene assassinato per ordine di Pinochet l’ex presidente Eduardo Frei, ricoverato due stanze più in là di Neruda. Il giorno della morte del Nobel, in turno c’era un ’medico fantasma’: il dottor Price di cui gli inquirenti non hanno trovato traccia. L’iniezione citata da Araya ci sarebbe effettivamente stata. Vari testimoni confermano e il dettaglio compare perfino nell’articolo del 24 settembre 1974 di “El Mercurio”, principale quotidiano cileno, al tempo filogolpista e, come tutta la stampa, sottoposto alla censura del regime. Il 20 ottobre 2017, all’Hotel Plaza San Francisco di Santiago, infine, gli esperti rivelano di aver trovato nel Dna del poeta un batterio tossico, il clostridium botulinum, utilizzato spesso come arma biologica. «Qualcuno può davvero, con onestà, ancora pensare che la morte nella camera 406 sia naturale? L’omicidio Neruda è nei fatti», conclude Ippolito. È davvero così? Di certo la dittatura aveva buone ragioni per ’liberarsi’ del Nobel. Il giorno successivo alla morte, egli sarebbe dovuto partire in esilio in Messico, su invito dell’allora presidente Luis Echeverría. Da lì, la sua voce disobbediente sarebbe stata una spina nel fianco per Pinochet. Tre indizi – diceva Agatha Christie – fanno una prova. In questo caso gli indizi sono svariati. Manca, però, ancora la prova definitiva. A fornirla saranno gli ulteriori esami in corso, dopo disguidi e ritardi, al laboratorio canadese McMaster. A quest’ultimo toccherà appurare se il batterio sia entrato nel corpo prima o dopo il decesso. Naturale o procurata, tuttavia, la morte di Neruda non è riuscita a imbavagliarlo. Il suo grido di “fiducia nell’uomo” è riecheggiato anche nel discorso pronunciato da papa Francesco a Santiago. «La speranza è il giorno nuovo – ha detto Bergoglio citando il Nobel di fronte alla Moneda –, lo sradicamento dell’immobilità, lo scuotersi da una prostrazione negativa».