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 2020  febbraio 12 Mercoledì calendario

Donne ancora discriminate nei laboratori

Dietro ogni statistica sul dominio maschile nella scienza c’è una storia personale. La carenza di professoresse e di ricercatrici ai vertici delle gerarchie universitarie, come quella nella vita pubblica e professionale più in generale, non è un caso. È la conseguenza di secoli di esclusione, discriminazione e sessismo che, in modo più o meno pronunciato, continuano a pesare ancora oggi sulla vita di tutti i giorni.
Alle lezioni di matematica e chimica ero l’unica ragazza. Incantata dalla scienza, ho fondato la prima società scientifica della mia scuola per portare i concetti scientifici al di fuori dei libri di testo, nella vita reale. Ma quando, un fine settimana, ho organizzato una giornata per la costruzione e il lancio di modellini di razzi, l’unico a presentarsi fu l’insegnante di chimica. Essere un «geek» comporta già un naturale isolamento da parte degli altri e se sei una ragazza è peggio. C’è chi lo considera poco femminile. Per troppo tempo, nell’immaginare il tipico «geek», abbiamo pensato a un ragazzo, dall’aspetto imbarazzante e con gli occhiali. Mai a una ragazza. Sono questi sottili messaggi che allontanano le ragazze dalle scienze fisiche, spingendole verso altre materie.
Da dove vengono questi stereotipi? È una storia che risale alla nascita della scienza occidentale moderna, quando, al momento della fondazione delle accademie e delle università europee, si assunse che le donne non avessero le stesse capacità intellettive degli uomini. È il motivo per cui la «Royal Society», il massimo organo scientifico britannico, non ammise le donne fino al 1945. Nell’anno in cui vinse il suo secondo Nobel, nel 1911, alla brillante Marie Curie fu impedito di aderire all’Accademia francese delle scienze: perché donna. In molte università importanti, poi, le donne non sono state ammesse come membri a pieno titolo fino alla metà del XX secolo.
Per circa due secoli la quota degli uomini è stata del 100%. Alle donne più talentuose e qualificate sono state negate opportunità e riconoscimenti perché non soddisfacevano il requisito fondamentale, quello dell’essere un maschio, mentre uomini meno brillanti l’hanno avuta facile, raggiungendo il successo senza fatica. E avevano pure l’audacia di affermare che le donne erano naturalmente inferiori dal punto di vista intellettivo. Così gli stereotipi si sono radicati. Dopo esser state forzatamente escluse sulla base di un pregiudizio, nel XIX secolo, alle donne fu poi detto che il loro cervello era più piccolo, più debole e meno evoluto rispetto a quello degli uomini. Gli inizi del XX secolo videro enormi proteste maschili per impedire l’ammissione delle donne alle università.
Stiamo iniziando solo ora a metterci al passo, nonostante la continua resistenza da parte degli uomini. Ancora oggi conviviamo con i pregiudizi sessisti, con alcuni scienziati maschi che insistono nell’affermare di avercela fatta per il merito, mentre le donne che raggiungono gli stessi livelli sono una sorta di eccezioni biologiche oppure hanno beneficiato di discriminazioni positive e quote rosa, dimenticando che la storia della scienza europea è quella delle quote maschili. Per secoli uomini inadeguati hanno progredito a vele spiegate, con carriere senza troppi sforzi.
Sappiamo da ormai cent’anni che il quoziente intellettivo, il Q.I. medio, di maschi e femmine è lo stesso. Il «gap» tra uomini e donne è che, in alcuni Paesi, a scuola le ragazze superano i ragazzi in scienza e matematica. Non c’è mancanza di talento tra le donne, solo una mancanza di fiducia verso di loro. E ciò erode l’autostima di una ragazza. 
Da quando il mio libro «Inferiori» è uscito due anni fa, ho ricevuto innumerevoli messaggi da donne che mi hanno raccontato storie di talenti sottovalutati dai loro supervisori, ma anche di molestie sessuali, bullismo ed emarginazione. A volte ad opera di donne. Una cultura che presuppone l’inferiorità femminile crea donne che sono doppiamente vittime: prima trattandole come inadeguate e poi facendo loro credere di esserlo davvero. Questo è il motivo per cui ho scritto il libro. Ero l’unica ragazza della classe non perché fossi diversa dalle altre, ma perché ero fortunata a essere cresciuta in una famiglia in cui mi era stato detto che non c’era nulla che non potessi fare. Lo stesso messaggio venne dato alle mie sorelle. Mio padre era ingegnere e, quindi, credevo di poterlo essere anche io. 
Una donna intelligente che ama la scienza non dovrebbe essere vista come più insolita o speciale di un uomo intelligente che ama la scienza. Qualunque cosa il mondo possa dire non credere mai sia colpa tua: è della società. Essere intellettivamente geniale non ti rende meno femminile. Ciò che rende speciale ogni persona non è il genere cui appartiene, ma le capacità individuali, i talenti e le esperienze.
(Traduzione di Nicla Panciera)