la Repubblica, 12 febbraio 2020
Microsoft regina di Borsa con i servizi del cloud
Microsoft ripassa in testa al “club del trilione”. Sembrava appartenere al penultimo capitolo nella storia dell’economia digitale, invece la creatura fondata da Bill Gates brilla per una longevità invidiabile. Torna ad essere la regina assoluta per la capitalizzazione di Borsa, a quota 1.440 miliardi di dollari. Seguono Apple, Amazon, Alphabet- Google, il quartetto che supera la soglia dei mille miliardi (detto un trilione in America). Il segreto di Microsoft? Più d’uno, ma sicuramente ha capito che la nuova rivoluzione sono i servizi del cloud, la nuvola informatica a cui affidiamo tutti i nostri dati, volenti o nolenti. La classifica di Borsa è interessante per quel che rivela sulla nuova gerarchia del capitalismo americano. Il digitale ha un dominio schiacciante. Al quinto posto, fuori dal club del trilione c’è comunque un’altra azienda della Silicon Valley, Facebook che vale oltre 600 miliardi in Borsa. Per trovare i giganti della Old Economy, i grandi nomi che una volta dominavano l’economia americana e mondiale, bisogna scendere sotto la soglia del mezzo trilione: ecco apparire i brand storici della finanza come Visa (442 miliardi) JP Morgan Chase (432 miliardi) e Bank of America (307 miliardi), dell’industria di beni di consumo come Johnson & Johnson (400 miliardi) e Procter & Gamble (312 miliardi) o della grande distribuzione come Walmart (327 miliardi).
Resta il fatto che il caso Microsoft va in controtendenza rispetto ad alcuni assiomi della stessa economia digitale. Eravamo abituati alle ondate generazionali, cicli storici di distruzione creatrice, che sconvolgevano continuamente il paesaggio delle tecnologie avanzate. Forse nessuno sotto i 40 anni ricorda Aol e Yahoo che furono tra i giganti di Internet agli albori del millennio; o una start-up come Napster che rivoluzionò il consumo musicale prima che Apple ne fagocitasse il modello di business. Microsoft dal punto di vista anagrafico potrebbe essere un dinosauro. L’apice della sua potenza avrebbe dovuto coincidere con la celebre azione antitrust avviata da Mario Monti quando era commissario europeo al mercato unico. Ma quella Microsoft, il cui potere semi- monopolistico era affidato soprattutto alla vendita di software, programmi operativi per i computer, è solo una parte dell’azienda di oggi. Microsoft Commercial Cloud, che riunisce i diversi servizi a pagamento per immagazzinare dati, prevede un fatturato in aumento del 40% anno su anno: sono ritmi di sviluppo da start-up, non quelli che ci si aspetta da un’azienda di quella dimensione. Nel cloud o nuvola informatica Microsoft è impegnata in una gara testa a testa con Amazon mentre Google è al terzo posto. Con 144.000 dipendenti e un fatturato annuo di 125 miliardi, Microsoft ha dimostrato una capacità di reinventarsi sorprendente per un’impresa ormai 45enne, che sembrava irrimediabilmente legata a un’epoca in cui la tecnologia prevalente era il personal computer. Si è invece adattata ad un mondo dove ci sono molti più smartphone che computer, dove il baricentro del business e della redditività si è spostato altrove. Le applicazioni del cloud sono spesso invisibili all’utente finale: per citarne una tra le meno ovvie, la Toyota Tsusho un anno e mezzo fa ha avviato una collaborazione con Microsoft per una piscicoltura sostenibile che usa “l’Internet delle cose”, affidando alla filiale Microsoft Azure la gestione delle acque. Altri settori in forte crescita sono la cybersicurezza, anche in un rapporto stretto con il Pentagono.
Microsoft è giunta ormai alla terza generazione di leader: dopo il fondatore Bill Gates (che rimane azionista ma si dedica a tempo pieno alla filantropia) ci fu l’era di Steve Ballmer, dal 2014 chief executive è l’indiano Satya Nadella. Prima di essere promosso al comando dell’intero gruppo, Nadella era stato uno dei principali artefici del cloud di Microsoft. Gli esami antitrust comunque rimangono una costante. Vent’anni dopo le vicissitudini con Mario Monti, oggi è il principale braccio dell’antitrust americano (Federal Trade Commission) ad aprire un’inchiesta su Microsoft e gli altri big del digitale. Sotto tiro ci sono le miriadi di acquisizioni di aziende minori nell’ultimo decennio: l’antitrust vuole capire se siano un modo per fare terra bruciata della competizione.