Libero, 11 febbraio 2020
Alta velocità, inchieste al rallentatore
L’incidente del treno, quello deragliato a Lodi, è del 6 febbraio. La nomina dei consulenti che dovranno accertare che cosa sia accaduto tecnicamente, invece, risale a ieri, 10 febbraio. La procura ha fatto sapere che la nomina di questi consulenti è avvenuta in tempi «ristretti» (hanno calcolato poco più di 72 ore, ma non hanno conteggiato la domenica) e questo – hanno detto – proprio per «contemperare nel miglior modo possibile le esigenze investigative e quella connesse alla ripresa della normale circolazione dei treni». Quando inizieranno a lavorare, questi consulenti? «Non appena possibile». E comunque non dovrebbero passare più di due giorni, che a loro dire sono pochi. Intanto ci sono indagini «serrate» per acquisire documentazione non ancora recuperata, e saranno ascoltate persone che non lo sono ancora state. I treni ad alta velocità, insomma, vanno a bassa velocità quando provenienti da Bologna (nei due sensi) perché devono deviare sulla vecchia linea, (...) segue dalla prima filippo facci (...) quindi si devono sommare al traffico ferroviario dei regionali e degli intercity, accumulando così ritardi che talvolta hanno superato l’ora. Molti Frecciarossa sono stati semplicemente cancellati, come si può leggere sul sito di Trenitalia. Detto questo, riflettiamo su alcune espressioni che abbiamo letto e riportato: «Tempi ristretti», «nel miglior modo possibile», «non appena possibile», «indagini serrate», «non più di due giorni»; cioè: è come se la procura avesse un complesso di fondo, come se avesse cioè la coda di paglia e il timore di figurare troppo lenta, comoda, macchinosa, burocratica, incurante dei disagi straordinari che in ogni caso comporta l’interrompere una tratta fondamentale in questo Paese stretto e lungo. In effetti, poste le opportune differenze, è come se avessero interrotto l’Autostrada del Sole. Ma non c’è ragione, beninteso, di dubitare della buona volontà della magistratura e del suo impegno per fare tutto il più in fretta possibile: e infatti è su questo «possibile» che vanno i nostri dubbi, non sulla buona volontà dei magistrati di farlo. Potrebbero anche non averci dormito la notte, per quanto ne sappiamo. Perciò la domanda: quanto è «possibile» essere veloci con un sistema di accertamento penale come il nostro?
TEMPO NORMALE
Qual è, in un paese occidentale normale, il tempo normale e fisiologico necessario per poter fare tutti gli accertamenti necessari e poter poi dissequestrare una tratta ferroviaria di primaria importanza? Purtroppo la risposta già la conoscete: con una giustizia come la nostra, essere veloci è impossibile, non c’è superman in toga che tenga. Inoltre, il «nostro» tempo normale e fisiologico non corrisponde al tempo normale e fisiologico di altri paesi: e questo, ripetiamo, non perché i magistrati italiani siano strutturalmente dei posapiano, ma perché il sistema è quello che è, e loro ci si muovono come possono. Quando il primo presidente della Cassazione, sabato, ha detto che è tutta «la conformazione del giudizio penale a dilatare oltremodo i tempi processuali», intendeva anche questo: che non c’è soluzione abborracciata che tenga, figurarsi l’amputazione della prescrizione – che i tempi oltretutto li allunga – in un sistema penale che sarebbe perfetto se la vita media degli italiani fosse di 180 anni.
LE AZIENDE
Non c’è da pretendere la Luna, non c’è da fare paragoni con nazioni che hanno costruito ospedali in dieci giorni: basta restare in Europa. E basta chiedere, in Europa, perché tante aziende siano scoraggiate all’idea di investire in Italia, nazione dove il sistema – figurarsi quando i magistrati sono lontani dai riflettori – può bloccare o congelare qualsiasi azienda o struttura in forma cautelare (senza apparenti limiti di tempo) il che può bruciare tempo e miliardi anche quando i magistrati sono in buona fede. Figurarsi quando non lo sono. È tutto il pachiderma a essere lento, e a esserlo anche per chi vorrebbe guidarlo con volontà e buone intenzioni: non c’è solo il processo civile e penale, ridotto alle cazzatelle di cui si litiga in televisione. In genere si dice: faremo il possibile, per l’impossibile ci stiamo attrezzando. In Italia non è così: in Italia si fa il possibile – neppure sempre – e per l’impossibile serve una riforma. Vera. Ma, per farla, non si stanno attrezzando manco per niente.