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 2020  febbraio 11 Martedì calendario

Diario dalla nave isolata a a Yokohama

«Credo sia inevitabile, proprio come il flusso e il riflusso del mare e le maree. Anche questo, come ogni dolore o avvenimento brutto deve fare il suo corso». Basta uno sguardo al suo profilo Facebook, sotto quel nomignolo che dice tutto, “Allegra Viandante”, per capire cosa piace a Roberta. Viaggiare, sorridere, raccontare. Non ha smesso neanche ora che il suo orizzonte è diventato piccolo e claustrofobico come la cabina di una nave da crociera. Roberta è una dei 35 italiani, dei 3700 passeggeri che da martedì scorso sono bloccati in quarantena a bordo della Diamond Princess, il focolaio di coronavirus che galleggia in mezzo al porto giapponese di Yokohama. Anche il comandante è italiano: Gennaro Arma, 45 anni, nato e cresciuto in Penisola sorrentina, parla dalla nave con la moglie Mariana: «È una situazione difficile, soprattutto inedita per tutti noi. Ma tenuto conto delle condizioni in cui ci troviamo, siamo tranquilli. A bordo c’è tanto da fare, la mia unica preoccupazione è prendermi cura dei passeggeri e dell’equipaggio. Speriamo solo che finisca presto».
Da una settimana Roberta, la ragazza siciliana di Pozzallo, ha trasformato il suo profilo in un diario di bordo, un diario della quarantena. Un modo per ingannare la noia, tra un film di supereroi e l’altro, di rassicurare amici e parenti, di prendere in giro la paura, di esorcizzare con l’ironia le brutte notizie. Ieri pomeriggio, proprio mentre postava l’ultimo aggiornamento, ne è arrivata una: «Altre 65 persone sono state infettate (…), fuori in banchina si sono riversate diverse ambulanze. Ho paura che la marea stia arrivando al suo picco, la speranza è che finalmente cominci a scendere».
Non è detto, non ancora. Con quelli trovati ieri, il numero dei contagiati sulla mastodontica nave è arrivato a 135: gli spazi ristretti, le sale comuni e i contatti frequenti a bordo della Diamond Princess hanno prodotto il più grande focolaio di epidemia al di fuori del territorio cinese. Tra i casi positivi ci sono persone di una decina di nazionalità, ma al momento nessun italiano. Sono stati fatti scendere e portati via dai paramedici giapponesi, che visti dall’alto, con i loro scafandri, ricordano a Roberta gli «Umpa Lumpa», gli gnomi della Fabbrica di cioccolato. Ma la cosa più allarmante è che al momento le autorità nipponiche hanno testato appena 336 persone con sintomi evidenti o considerati a rischio. È possibile che anche altri stiano incubando il virus, che circola a bordo ormai dai venti giorni. Mentre il Giappone ipotizza allora di estendere il test a tutti, i 2500 passeggeri e i membri dell’equipaggio, per il momento si monitorano i sintomi: «Ogni anima su questa nave è provvista di un termometro personale – scrive Roberta – da usare ogni 4 ore informando subito l’equipe medica nel caso in cui la temperatura corporea superi i 37,5 gradi».
Roberta non è sola, questo aiuta. C’è il marito, che spunta in cabina con «caffè, cioccolata, Oreos, patatine, coca cola e abbondante acqua frizzante». Snack e zuccheri confortano, al netto dei sensi di colpa («Diventerò tutta ciccia e brufoli!, gli ho urlato ieri»), così come aiuta la possibilità di farsi finalmente il bucato. Roberta ripete di avere fiducia nelle autorità giapponesi e nel personale della nave, posta le foto dei camerieri che spingono lungo gli stretti corridoi grossi carrelli per il cibo, distribuendo pasti incellofanati cabina per cabina: «Nella fatale sfortuna mi sento davvero molto fortunata». Riesce ad essere ironica, per esempio quando racconta i suoi poco convinti tentativi di fare tai chi o step. Ma la tensione c’è, pronta a straripare, come quando due giorni fa sono arrivati sulla tv interna i messaggi dei bambini di Yokohama: «I messaggi teneri e incoraggianti hanno innescato in me un po’ di fragilità che fino ad oggi era rimasta sopita – rivela – qualche lacrima è stata versata e anche qualche sospiro di frustrazione». Meno male che gli italiani a bordo hanno creato un gruppo WhatsApp, in cui si scambiano informazioni e cercano di sostenersi dalle rispettive cabine: «Ci si incoraggia ad uscire e passeggiare durante l’ora e mezza concessa, perché più si sta fermi, più le paure affiorano». Chissà che il vento freddo dell’inverno giapponese, due gradi, non le cacci via.
Chi poteva prevedere tutto questo? La timeline di Roberta è anche l’improbabile rotta che le ha fatto incrociare il coronavirus. A Natale, mentre a Wuhan aumentavano i misteriosi casi di polmonite, lei e il marito erano già in Giappone, serenamente ignari di tutto mandavano auguri dalla ruota panoramica di Osaka. Poi le pagode e boschi di bambù a Kyoto, i mercati di Taiwan, quindi il 20 gennaio l’imbarco sulla Diamond Princess. Con loro a Yokohama sale anche un signore 80enne, e con lui il virus. Si fa rotta a Sud, lui scende a Hong Kong il 25, ma ormai il patogeno è a bordo. La crociera prosegue verso il Vietnam, Roberta posta foto, sorrisi e racconti. Il 28 gennaio scrive a un amico: «Tra una settimana sono a casa». È iniziato il ritorno, Okinawa e di nuovo Yokohama. Ma anziché attraccare, la nave viene lasciata in mare: quell’80enne nel frattempo è malato, la Diamond Princess in quarantena.
Ora Roberta ha tante domande in testa. «La quarantena si azzera se altri verranno contagiati?». Non è chiaro, il termine resta lo stesso, mercoledì 19, ma è possibile venga prolungato. «Alla fine di questa brutta avventura, andremo anche noi alla Cecchignola?». Non si sa. In ogni caso mancano ancora otto giorni, un’eternità. «Sì lo so, è una cosa seria – scrive Roberta – ma la paura ci rende deboli. Tutto ciò finirà presto. Lo so. Ne sono sicura».