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 2020  febbraio 10 Lunedì calendario

L’arte è la criptovaluta delle mafie

Opere d’arte come criptovalute, monete virtuali per riciclare denaro sporco o da utilizzare come momentaneo deposito per mafie e criminalità organizzata. 
L’hobby del re dei video poker 
Gioacchino Campolo, re dei video poker, amava l’arte. Nei trecento milioni di euro di beni che gli sono stati sequestrati c’erano, infatti, un centinaio di opere di grande valore: quadri di Dalì, Morandi, Guttuso, Mattia Petri, de Chirico. 
Collezioni per dieci milioni di euro sono state sequestrate anche a Gianfranco Becchina, intermediario d’arte e uomo del boss Matteo Messina Denaro e a Nicola Schiavone, figlio di Francesco, il capo dei casalesi. Per non parlare dei due dipinti a olio di Vincent Van Gogh «La Chiesa riformata di Nuenen» e «Vista della spiaggia di Schveningen» trafugati nel 2002 dal museo di Amsterdam dedicato all’artista e ritrovati dagli uomini della Guardia di Finanza in un casolare di Castellamare di Stabia riconducibile al ras del narcotraffico Raffaele Imperiale. E poi ancora gli investimenti della ’ndrangheta in tele seicentesche in Lombardia e le collezioni di Gennaro Mokbel e Massimo Carminati, attivi sulla piazza di Roma, al centro dell’imperdibile documentario «Follow the paintings», di Francesca Sironi, Alberto Gottardo e Paolo Fantauzzi. Boss e criminali appassionati d’arte? Difficile immaginarlo. 
Piuttosto questo boom è la cartina di tornasole di quanto il mercato dell’arte sia diventato un fenomenale strumento di riciclaggio e investimento per la criminalità organizzata e per le mafie. Un settore che permette di occultare in beni rifugio capitali sporchi con la garanzia di non subire svalutazioni nel tempo. Non solo riciclaggio ma certezza di un investimento che non avrà contraccolpi inflazionistici. E il ritorno economico è garantito soprattutto se si investe in capolavori sicuramente destinati a mantenere nel tempo tutto il l loro valore.
Il mercato globale dell’arte vale tra i 58 e i sessanta miliardi di euro. Una bolla mondiale raddoppiata negli ultimi dieci anni e che non sembra, almeno per ora, destinata a sgonfiarsi. E non solo grazie agli evergreen, i capolavori. Ma anche per l’effetto-moltiplicatore delle quotazioni di giovani artisti schizzate alle stelle, con cifre in alcuni casi superiori persino ai cento milioni di dollari. Tutte anomalie segnalate nel tempo da alcuni esperti del settore.
Una raffica di record opachi 
Nell’ultimo decennio gallerie e case d’asta hanno battuto record su record, riuscendo a piazzare capolavori e artisti balzati dalla semi-clandestinità dell’anonimato al successo commerciale planetario. Ma non è tutto oro quello che luccica. Perché a decretare la clamorosa espansione del mercato non c’è solo la passione dei collezionisti ma anche la facilità con la quale finora le mafie hanno potuto utilizzare questa bolla commerciale per riciclare denaro sporco. Un settore che ha beneficiato dell’assoluta mancanza di regole.
«Si tratta di un fiume di soldi che arriva soprattutto dal mercato della droga», spiega il generale Alessandro Barbera, comandate dello Scico, il servizio centrale di investigazione sulla criminalità organizzata della Guardia di Finanza. 18 miliardi di euro (pari a oltre l’uno per cento del Pil nazionale) è il colossale valore che corrisponde alla somma dei beni mobili ed immobili sottratti dalle Fiamme Gialle alla criminalità economico-finanziaria dal 2015 al 2019. Sequestri che confermano l’importanza di quella che si configura come un scelta strategica delle mafie investire in beni rifugio. E cioè, principalmente, diamanti, metalli preziosi, quadri e reperti archeologi. Tesori non solo trafugati, ma anche acquistati sul mercato legale dell’arte, soprattutto nelle aste.
Giano bifronte 
«L’impresa mafiosa si muove indistintamente nei due mondi, quello legale e quello illegale e ciò la rende particolarmente pericolosa- sottolinea Barbera - Per i clan l’investimento in beni rifugio come le opere d’arte è appetibile perché è conveniente. È’ un business con ramificazioni in tutto il mondo, molto difficile da ricostruire. Ci troviamo a fronteggiare un Giano bifronte che richiede indagini sempre più sofisticate per scovare dove si nasconde l’illecito e per individuare tutti i passaggi di denaro». E aggiunge il generale: «Quando ti trovi di fronte a un’organizzazione mafiosa che si muove sul mercato legale, più che bravi tiratori servono profili professionali che sappiano leggere bilanci per indagare». Opere d’arte e beni rifugio, evidenzia Barbera, sono oggi «assegni circolari, merce di scambio con valore stabile e un doppio pregio». E cioè: «Mascherare la provenienza degli investimenti e garantire la disponibilità del bene in tempo reale sul mercato globale». La filiera criminale, inoltre, si snoda come una catena che, nelle sue varie fasi, riesce a far lievitare e a tenere sotto traccia una costante crescita di valore. 
Gli investigatori sono riusciti a documentare anche «l’effetto-riverbero» assicurato ai capiclan da capolavori artistici di riconosciuto valore universale. Trofei ad altissimo costo da esibire come dimostrazione pubblica di potere, prestigio e dominio del territorio. 
«Per un boss mafioso avere nella propria disponibilità il quadro o una scultura di un grande artista non è soltanto un’operazione di riciclaggio. Poter esporre un capolavoro conferisce lustro e reputazione: contribuisce a diffondere quell’idea di supremazia che un gruppo egemone vuole esprimere in un’area geografica o in un determinato settore di traffici illeciti». Quindi il possesso dell’arte diventa segno di potere e investitura socio-culturale. Status symbol.
Depositi di ricchezza
E’ un meccanismo rodato. Negli anni i clan hanno perfezionato i metodi per l’occultamento del fiume di denaro che proviene dalla droga e dalle varie forme di racket e di tratta. «La criminalità organizzata, nelle sue differenti espressioni, ha interesse a reinvestire in beni che riescono a nascondere il loro effettivo valore- avverte Federico Cafiero De Raho-. Opere d’arte di enorme pregio sono pure utilizzate come strumenti per depositare in sicurezza ricchezze notevoli». Con un vantaggio appunto per i clan: «Questi investimenti in quadri, sculture e reperti archeologici dissimulano l’entità economica concentrata nel bene». Un modo, dunque, per confondere le acque, per non dare la certezza di quanto denaro illegale sia stato ripulito lungo i successivi ingranaggi delle «lavanderie artistiche». Il pregio di un’opera d’arte resta, infatti, discrezionale. A determinare quanto sia preziosa è un mercato che si fonda su valutazioni soggettive.
Passaggi di denaro tra boss
Il procuratore nazionale antimafia ricostruisce una casistica, in continuo aggiornamento, da cui emerge inequivocabilmente un metodo occulto di pagamento attraverso l’arte. In centinaia di casi, infatti, tele, sculture e affreschi garantiscono passaggi di denaro tra un gruppo mafioso e un altro, al riparo da qualunque rischio. Con un pezzo di carta, con un accordo privato viene attuato e messo in sicurezza uno scambio di valuta virtuale tra organizzazioni criminali senza che un singolo capolavoro e anche intere pinacoteche debbano essere trasferite da una sede all’altra. L’opera d’arte resta dove è custodita, magari in un porto franco, inaccessibile a tutti, e passa da un acquirente all’altro. E’ questa una delle nuove frontiere sulle quali si sta concentrando l’attenzione degli investigatori e dei legislatori. Intanto la quinta direttiva dell’Unione Europea sull’antiriciclaggio impone a tutti gli operatori del settore le stesse regole di trasparenza in vigore da tempo per banche, notai, commercialisti. Una prima tappa verso la trasparenza.