Anteprima, 10 febbraio 2020
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Biografia di Nello Santi
Nello Santi (1931-2020). Direttore d’orchestra. «Per certi versi, l’ultimo erede della gloriosa tradizione italiana: quella che da Mariani e Faccio arrivava, attraverso Toscanini, al suo mentore Serafin. Su questa naturale eredità aveva costruito uno stile originale. Tutto suo per esempio era un certo flessuoso fraseggio, un suono “carnoso” reso tale da tempi mediamente molto comodi e un’attitudine speciale alla corda del comico, che legittimava meravigliosamente eseguendo egli stesso al cembalo i recitativi secchi. Era inoltre amato dai cantanti perché sapeva istruirli nei minimi dettagli. Gran carriera la sua, che ha avuto nei teatri di Zurigo (dove viveva) e New York i luoghi d’elezione ma che l’ha portato a dirigere tutte le orchestre che contano nei migliori teatri del mondo. Arrivò alla Scala nel 1971 con Butterfly. Poi l’esilio fino al 2017, quando tornò per una Traviata come non se ne ascoltano più. » [Girardi, CdS].
«Nello Santi, scomparso il 6 febbraio, era uno dei pochi amici che io avessi tra i direttori d’orchestra. Nacque ad Adria nel 1931, quindi era anche un decano. Mi raccontò di aver avuto un’infanzia così felice, assecondato in tutti i suoi desiderî, che da piccolo lo chiamavano “il Monsignore”. Il fisico di un prelato papalino dei secoli passati lo aveva; e se pensiamo che sovente tali prelati erano di lingua pronta e spiritosa, anche in questo assomigliava loro. A modo goldoniano. “La Callas è stato un fenomeno di suggestione collettiva”. “Quando all’Arena di Verona l’orchestra va insieme, è per errore”. L’Amarone lo definiva “l’Aspirina liquida”. “Il vino peggiore che conosca è il Santinello”. “Che male ti hanno mai fatto i cani per chiamare così un cantante che stona?” “I cantanti bisogna portarli a far bene a loro insaputa, altrimenti si ribellano!”. Alla prova generale di una Traviata al San Carlo, con un soprano del tutto inadeguato, dopo il primo atto andai a salutarlo. “Nello, me ne vado.” “Beato te!”. A un Rigoletto nello stesso teatro (ove aveva diretto anche uno straordinario Andrea Chénier, una raffinata Ottava Sinfonia di Beethoven, e così via) lo pregai di obbligare i cantanti a rispettare il testo autentico. “È impossibile in natura!”.
Se James Levine, infamemente trattato dal Metropolitan che aveva reso grande come nessuno, è l’ultimo rappresentante della somma tradizione direttoriale in assoluto, senza limiti di epoche e di repertorio, Santi era rimasto l’ultimo rappresentante della tradizione italiana nel senso più nobile del termine» [Isotta, Fatto].