Il Sole 24 Ore, 10 febbraio 2020
Cosa fare con i 600 mila irregolari in Italia?
Solo nel settore domestico si stima che siano 200mila: sono gli stranieri non comunitari senza permesso di soggiorno che lavorano nelle case degli italiani come colf, badanti e baby sitter. Ma il numero degli irregolari presenti nel nostro Paese, secondo la Fondazione Ismu (Iniziative e studi sulla multietnicità) è arrivato nel 2019 a 562mila persone. Con una previsione di forte aumento nel 2020 e nel 2021 – secondo diverse organizzazioni non governative, tra cui Amnesty International e Action Aid – dovuto alla stretta sulle richieste di asilo impressa dal primo decreto “sicurezza” (il Dl 113/2018), che ha cancellato il permesso di soggiorno per motivi umanitari. Incrociando questi due dati, la Fondazione Leone Moressa ipotizza, a oggi, una platea di 600mila irregolari.
Il boom di irregolari
Dopo l’ultima sanatoria del 2012, il numero degli irregolari è cresciuto continuamente in assenza di una programmazione efficace dei flussi di legge. Di fatto, le politiche migratorie italiane sono state caratterizzate fin dagli anni ’80 da provvedimenti spot che, ex post, hanno fatto emergere una parte degli immigrati già presenti in Italia. La sanatoria più consistente, con 646.829 stranieri coinvolti, è stata quella varata con la legge Bossi-Fini del 2002, con due canali distinti, uno per colf e badanti (legge 189/2002) e uno per gli altri lavoratori (legge 222/2002).
Il dibattito su un’eventuale nuova sanatoria si è riacceso dopo l’apertura espressa dalla ministra dell’Interno Luciana Lamorgese il 15 gennaio scorso, in risposta a un’interrogazione del deputato Riccardo Magi (+Europa). La ministra ha annunciato che il Governo vuole valutare le questioni poste dall’ordine del giorno accolto durante l’esame della legge di Bilancio 2020, con il quale si è impegnato a considerare l’opportunità di un provvedimento che – a fronte dell’immediata disponibilità di un contratto di lavoro – consenta la regolarizzazione di stranieri irregolari già presenti in Italia. L’idea è di prevedere, alla stipula del contratto, il pagamento di un contributo forfettario da parte del datore di lavoro e il rilascio del permesso di soggiorno per il lavoratore (si veda il servizio qui sotto).
Le ricadute economiche
Secondo le stime della Fondazione Leone Moressa, un provvedimento di questo tipo, oltre a inserire in una cornice di legalità i lavoratori, potrebbe portare nelle casse dello Stato nuove entrate per 1,2 miliardi di euro, tra Irpef e contributi previdenziali.
«Considerando in via prudenziale una platea di 300 mila beneficiari, metà impiegati nelle famiglie e metà nelle imprese, e considerando le fasce di reddito più basse – spiega Chiara Tronchin, ricercatrice della Fondazione – abbiamo cercato di stimare il beneficio economico di una nuova sanatoria, quantificabile in un gettito fiscale di 405 milioni tra Irpef e addizionali locali, 218 milioni di contributi versati dalle famiglie datrici di lavoro domestico, e 586 milioni di contributi versati dalle imprese. Anche considerando gli effetti indiretti legati all’emersione di componenti deducibili – continua – si continuerebbe ad avere comunque un saldo positivo di quasi 400 milioni. Senza considerare l’impatto sociale di avere 300mila persone censite e controllate invece che a rischio marginalizzazione e criminalità».
Peraltro, nel lungo periodo il vantaggio economico potrebbe aumentare, considerando che, una volta regolarizzati, i lavoratori stranieri potrebbero restare contribuenti attivi per molti anni: secondo l’Inps, a cinque anni di distanza dalla sanatoria del 2002, l’80% dei lavoratori emersi è ancora regolarmente occupato.
«Oltre alla sanatoria – spiega Andrea Zini, vicepresidente di Assindatcolf, associazione sindacale dei datori di lavoro domestico – servirebbe un incentivo alle famiglie per tenere in regola i lavoratori, evitando così che ritornino a lavorare in nero, anche se con il permesso di soggiorno».