Il Sole 24 Ore, 9 febbraio 2020
Irpef italiana da record in Europa
Nel sei Nazioni del rugby l’Italia è abbonata al cucchiaio di legno che si dà alla peggior squadra. Nel «cinque nazioni» dell’Irpef il primato italiano non è in discussione. E non è un primato piacevole.
Mentre si scalda il cantiere della riforma fiscale, aperto giovedì scorso con il primo vertice di governo sul tema e rilanciato ieri a Brescia dal ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, al congresso dell’Assiom Forex, il confronto internazionale mostra che in effetti l’Irpef italiana è un peso massimo a livello europeo. Certo, per una panoramica completa la pressione fiscale va messa in relazione con i servizi assicurati dallo Stato. Ma, numeri alla mano, l’obiettivo di una riduzione della pressione fiscale è irrinunciabile anche per rimetterci in linea con le richieste che arrivano dall’amministrazione pubblica sui redditi degli altri grandi Paesi europei. Il dato emerge chiaro dall’analisi comparata realizzata per Il Sole 24 Ore da Dla Piper sulla tassazione sui redditi personali in Italia, Francia, Germania, Spagna e Regno Unito.
Lo studio fa viaggiare due contribuenti-tipo nei diversi Paesi per calcolarne le richieste fiscali. In entrambi i profili il reddito lordo è da 35mila euro, ma a cambiare sono le altre caratteristiche: la famiglia, coniuge e due figli nel primo caso, single nel secondo, e il reddito da dividendi, 2mila euro per il profilo 1 e 3mila per il profilo 2, più alcuni dettagli sulle spese detraibili specificati nei grafici in pagina. Un dato, invece, non cambia mai: in Italia si paga di più.
Due numeri, per capire. Il primo contribuente, il dipendente con i famigliari a carico, versa oggi in Italia 7.215 euro all’anno, cioè 6.695 di Irpef nazionale e 520 per i dividendi. In Spagna, la più vicina a noi anche sul piano fiscale, il conto si ferma a 5.402, in Germania arriva a 1.250 euro che diventano 1.809, 80 compresa la tassazione di divendi e la tassa di culto mentre nel Regno Unito si arriva a 3.283 sterline (3.875 euro). E in Francia? Solo 600 euro. Merito del quoziente famigliare, che valorizza la presenza di coniuge e figli per azzerare il prelievo sul reddito personale e ridurre le imposte dovute nell’anno solo sugli investimenti effettuati.
In Italia, è vero, la situazione del nostro contribuente tipo è in via di miglioramento grazie al taglio del cuneo fiscale, che offre una detrazione aggiuntiva da 960 euro su base annua (480 euro nel 2020 perché il meccanismo parte da luglio). Che riduce ma senza colmare la distanza con la Spagna, al secondo posto nella classifica.
La situazione si riproduce simile nel secondo esempio, relativo a un lavoratore dipendente single. Per questo profilo il quadro cambia drasticamente in Francia, perché l’assenza di famigliari a carico che fanno scattare il quoziente fa salire la richiesta a 4.654 euro. Anche in Germania la cifra lievita, su su fino a 7.589 euro. Ma l’Irpef italiana vola a 8.863 euro, a cui si devono aggiungere 780 euro di tassazione sui dividendi. E anche in questo caso, il primato italiano resiste saldo al taglio del cuneo fiscale.
Anche al governo e nella maggioranza guardano oltreconfine, ma in cerca di modelli più che di confronti sui numeri. E in questa fase di studio ha acquistato una certa fortuna la cosiddetta Irpef alla tedesca, che sembra garantire al «partito della progressività» una curva continua e modulabile in modo tutto sommato semplice a seconda delle scelte politiche sulla distribuzione del prelievo. Questo accade a Berlino grazie a una percentuale di prelievo che parte dal 14% e si arresta al 42% per redditi fino a 270mila euro in caso di single e a 541mila per i coniugi. Oltre queste due soglie scatta un’aliquota del 45 per cento. In sostanza con una funzione di calcolo i contribuenti determinano la loro aliquota da applicare al reddito che viene a sua volta distinto in sette categorie dall’agricoltura al commercio, dai professionisti indipendenti all’occupazione, dai capitali agli affitti. Ma anche sulla progressività lo sguardo continentale offre spunti interessanti. Perché la pesante Irpef italiana sembra farsi piuttosto timida quando si guarda all’aliquota massima, applicata sui redditi alti. Perché in giro per l’Europa sono frequenti aliquote più alte, che scattano in genere a soglie di reddito superiori ai soli 75mila euro che fanno partire l’ultimo scaglione italiano. Un fattore, questo, ben chiaro al ministro Gualtieri, che nelle settimane scorse ha anche ipotizzato una nuova aliquota (al 45%) da applicare ai redditi sopra i 500mila euro.