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 2020  febbraio 09 Domenica calendario

Intervista a Jeremy Irons

Si potrebbero raccontare tante cose su Jeremy Irons. Per esempio che ha vinto l’Oscar per "Il mistero Von Bulow" di Barbet Schroeder, ma già lo sappiamo, oppure che "Il danno" di Louis Malle lo ha consacrato icona erotica. E anche questo è risaputo. O ancora che dal 20 febbraio sarà presidente della giuria del Festival di Berlino. Invece parleremo di tutt’altro. Perché lui ha una passione, che si chiama mare. Coltivata da bambino nelle acque tumultuose della Manica e che continua tutt’oggi, nonostante abbia girato la boa dei 70 anni. Sorride ogni volta che, a bordo del suo yawl in legno salpa dalle coste frastagliate dell’Irlanda. L’unico luogo dove Jeremy si sente davvero felice.
Cosa significa essere nato sul mare?
«Il mio villaggio era soprannominato l’Isolotto delle oche: sull’isola di Wight, al largo del Regno Unito. Il mare fa parte della mia anima, diciamo che sono isolano nell’animo. Ora vivo sulla punta sudoccidentale dell’Irlanda e ho la mia isola. Piccola, ma mia».
Che ricordi ha da bambino?
«Il campo ai piedi del mio giardino correva fino al mare. Laggiù c’era il porticciolo dove ho imparato ad andare a vela e a nuotare che non avevo neppure 5 anni. Ricordo che sedevo sulla spiaggia a guardare mio padre timonare il nostro dinghy all’imbocco del piccolo porto. Stava seduto sul fondo con i piedi sulle murate, il bocchino della sigaretta stretto tra i denti e intanto la barca si muoveva dolcemente. Il mare era il nostro confine, forse una sola volta l’anno andavamo sulla terraferma».
Il mare l’ha ispirata all’avventura?
«Forse sì perché mi ha spronato a esplorare e a scoprire. Sebbene il mio amore per i cavalli e i cani mi abbia spinto ad andare a stare in campagna, ma sempre affacciato sull’oceano».
Si può dire il mare sia il suo rifugio?
«È da sempre il mio rifugio, dove godo della compagnia di me stesso. In Irlanda vivo circondato dal mare, immerso in tutti i suoi umori. E trascorro le vacanze in barca, dove esiste un grande privilegio: nessuno viene a disturbarti. Adoro l’intimità con gli amici a bordo, la possibilità di ancorare in una caletta silenziosa oppure di buttarmi nella mischia del porto».
Lei abita a Kilcoe Castle, nella contea di Cork. Cosa ci fa in un castello?
«In verità è più una torre che un castello. Leggo, passeggio con i cani, faccio lavoretti e riparazioni, vado a cavallo e metto trappole per la caccia. E poi ascolto musica e, appena posso, esco in barca. Le giornate non sono mai abbastanza lunghe. Sto anche ricostruendo un cottage del XVI secolo sulla mia isoletta».
Ma è vero che lavora per saldare i conti del castello?
«Quando l’ho comprato era in rovina dal 1600. Ho passato sei anni a restaurarlo e allora ci fu bisogno di qualche film in più per pagarlo. Ma ora che è finito posso lavorare meno e godermelo di più».
Quale sarà il suo prossimo film?
«Sto per girarne uno sul grande allenatore di cavalli inglese Sir Henry Cecil e il suo ultimo campione Frankel».
Durante la sua carriera ha conosciuto tre registi italiani: che cosa dice di Franco Zeffirelli?
«Un meraviglioso amico, un po’ birichino e un grande regista. Lo conoscevo da anni, ma i nostri progetti non si erano mai incontrati fino a "Callas Forever". Anche Fanny Ardant era una vecchia amica con cui avevo lavorato parecchio, per cui è stato uno shoot molto piacevole».
Bernardo Bertolucci?
«Un altro maestro. Aveva chiamato mia moglie Sinead Cusack per il ruolo di Diana ma, quando lessi il copione di Io ballo da sola, gli chiesi di partecipare al film. Lui mi rispose: chi vuoi interpretare? Come Franco adorava il cibo, per cui il pranzo era un momento topico della giornata. Portava il suo chef e il vino scorreva a fiumi. Quell’estate in Toscana, sul set con mia moglie e gli amici, è uno dei miei ricordi più felici».
Giuseppe Tornatore?
«Un uomo molto talentuoso e parecchio esigente, abbiamo fatto insieme La corrispondenza. Il grande vantaggio di lavorare con registi italiani è che di solito preferiscono girare in Italia, un luogo dove io non potrei essere più contento».
Lo sa che le donne italiane impazziscono per lei, si considera un seduttore?
«Ammiro le donne italiane per il loro stile, portamento e passione. Io un seduttore? Beh, sebbene abbia alle spalle un po’ troppe primavere, non posso smettere di esserlo. Quando fai l’attore, provochi inevitabilmente la fantasia di chi guarda».
Vero che soffre di un incubo ricorrente? La chiamano per sostituire un collega senza avere il tempo di studiare il copione…
«Oh sì che è vero. Questo è un brutto sogno comune fra noi attori, l’insicurezza non scompare mai».
La sensazione di essere inadeguato la perseguita?
«Ogni volta che comincio a studiare una parte, mi sento totalmente inadeguato per il compito. Mi sento come fossi un idraulico».
È diventato attore per caso? Le sarebbe piaciuto anche fare l’architetto o il veterinario…
«Ho sempre saputo che tipo di vita mi avrebbe reso felice. Volevo la possibilità di lavorare in città come in campagna e di avere a che fare, in qualche modo, con gli animali e le barche. Le cose che ho amato di più nella mia infanzia. Il modello che avevo in testa era un mio amico veterinario, lui divideva la sua esistenza tra Londra e l’isola di Wight. Purtroppo un giorno mi sono reso conto che non avevo alcuna attitudine per le scienze».
Quindi?
«Quindi, mentre giravo per l’Europa e l’Inghilterra strimpellando con la chitarra, ho scoperto che ero attratto dalla vita degli zingari. Un giorno trovai lavoro, per caso, in un teatro di provincia e compresi che mi divertiva fare l’attore. Fu allora che decisi d’imparare a recitare alla scuola dell’Old Vic Theatre di Bristol».
E la passione per il costruire?
«Una volta ottenuto abbastanza successo da poter acquistare delle proprietà immobiliari, mi sono accorto di quanto mi piacesse lavorare sugli edifici antichi, riportarli ai loro splendori. Costruire e rinnovare è rimasto uno dei miei divertimenti preferiti».
Mai desiderato essere un marinaio?
«Certo e mi è rimasto dentro dalla giovinezza. La gioia di bilanciare una fragile barca contro la potenza del mare e quel senso di placida riflessione che si prova quando è passata la tempesta. Sono sensazioni imbattibili».
Qual è il suo libro di mare preferito?
«Da ragazzo mi piacevano le storie di Horatio Hornblower. Amo anche i libri di William F. Buckley Jr. e "A voyage for madmen" di Peter Nichols mi ha divertito. E poi "Kon-Tiki" di Thor Heyerdahl è una lettura senza pari».
Partecipa a regate, anche alla famosa BT Challenge in Tasmania…
«Ho partecipato sperando in una avventura nell’oceano burrascoso, ma è finita che abbiamo preso calma piatta per giorni. Comunque ci siamo piazzati al secondo posto per un soffio, per cui è stato eccitante».
Le piacerebbe interpretare Cristoforo Colombo?
«Mica tanto, girare in mare è frustrante e si perde un sacco di tempo. Una volta l’ho fatto per Claude Lelouche in "And now... Ladies & Gentlemen". In quell’occasione è stato piacevole perché la cinepresa era su un elicottero sopra la mia testa, così potevo fantasticare di essere un viaggiatore solitario senza la folla della troupe tra i piedi».
A proposito di mondo e confini, da inglese che cosa pensa della Brexit?
«Sono stato deluso dal risultato del voto. Mi sento europeo e mi piace la libertà di circolazione a cui eravamo abituati. Ho sempre nutrito dubbi sulla direzione presa dalla Ue e non sono un fan della globalizzazione, ma avrei preferito una riforma dall’interno. Penso che l’unità sia meglio della separazione».
Conosce il Mediterraneo e il Mar Ligure?
«Sì, ma non bene quanto vorrei».
Le onde, i venti, le sensazioni sono diversi che nell’Atlantico.
«Le onde sono più corte, cambiano velocemente, e nella brutta stagione sono incredibilmente violente». 
Secondo lei di che colore è il mare?
«Cangiante, come il colore degli occhi di una donna».
Il mare è la pattumiera della terra. Nel film documentario "Trashed" di Candida Brady lei ne parlava già anni fa.
«Abusiamo il mare, spesso senza volere, ma il risultato non cambia. Plastica sulla maggior parte delle spiagge, sempre meno pesci. Possiamo invertire la rotta e dobbiamo farlo".
Lei ha interpretato nei Borgia Alessandro VI che fu uno dei pontefici più controversi. Cosa pensa di Papa Francesco?
«Ammiro enormemente Papa Francesco. Sta provando a cambiare un’organizzazione datata e difficile da gestire e questa è una sfida davvero ardua. In quest’epoca c’è un assoluto bisogno di guida spirituale, eppure in molte parti dell’emisfero settentrionale la Chiesa sembra inadatta al suo ruolo. Prego che la spinga giù dalle nuvole e sempre più verso la gente. Un’impresa immane, che nessuno può fare se non Francesco».
Cambiamo argomento: qual è il cibo italiano che preferisce? E il vino?
«Mi piace la buona pasta e conosco poco sui vini. Un onesto rosso, che non lascia postumi e per cui non devo ipotecare la casa, fa al caso mio».
Ultima domanda: continua imperterrito a fumare?
«Con fermezza».