Corriere della Sera, 9 febbraio 2020
Philip Morris cresce senza sigarette
Un futuro senza fumo. È la sfida, in apparenza paradossale, che la svizzera Philip Morris International sta cercando di vincere grazie all’innovazione, che ha trasformato il numero uno mondiale del tabacco, con 77 mila dipendenti, 150 milioni di clienti e 6 dei 15 marchi di sigarette più venduti a livello globale (incluso Marlboro), in una società tecnologica. «Oggi siamo un gruppo totalmente diverso rispetto all’azienda tradizionale di tabacco che eravamo. Abbiamo introdotto nel nostro business le scienze della vita, l’elettronica, la gestione dei rifiuti e il riciclo, l’assistenza ai clienti (customer care), perfino il retail. È cambiata l’organizzazione. E la trasformazione continua ogni giorno», afferma André Calantzopoulos, 62 anni, greco, fumatore, dal 2013 ceo di Philips Morris, dove lavora da quando ne ha 28.
Che cosa significa un futuro senza fumo per un’azienda di tabacco?
«Significa sostituire le sigarette con prodotti innovativi, potenzialmente meno dannosi, sostenuti dalla comunità scientifica. Perché succeda, l’industria deve aumentare gli sforzi per convincere i consumatori a passare dai prodotti tradizionali ai nuovi. Però esiste un problema regolatorio».
In che senso?
«Le leggi attuali sono pensate per le sigarette, ma noi stiamo parlando di prodotti completamente diversi. Quando c’è innovazione, anche le norme dovrebbero essere aggiornate. Non parlo di pubblicità, ma se l’industria non può comunicare i benefici dei prodotti senza combustione, come facciamo ad accelerare l’eliminazione graduale delle sigarette?».
Chi garantisce che i nuovi prodotti siano sicuri?
«Il problema di per sé non è il tabacco, ma la combustione. Abbiamo lanciato la prima generazione di prodotti a tabacco riscaldato nel 2015, dopo molte valutazioni scientifiche. Molte istituzioni hanno stabilito che sono meno nocivi delle sigarette. E la Fda americana lo scorso maggio ne ha autorizzato la commercializzazione negli Stati Uniti. Certo, non sono sicuri al 100%, ma se fanno meno male delle sigarette, dovremmo poterlo dire ai consumatori».
Quali sono i numeri del consumo?
«Dopo due test pilota, a Milano e in Giappone, e il lancio nel 2015, oggi il prodotto a tabacco riscaldato rappresenta circa l’8% dei nostri volumi totali e, nel quarto trimestre, il 19% dei ricavi complessivi. Siamo stati i primi a debuttare sul mercato, il che ci dà un vantaggio competitivo e ci permette di guadagnare quote di mercato. Nel mondo contiamo oltre 13 milioni di utenti di Iqos, di cui 10 milioni hanno abbandonato le sigarette tradizionali. Investiamo oltre il 60% della spesa totale nei nuovi prodotti e il 100% del marketing. A questi ritmi, con l’attuale quadro regolatorio, entro il 2025 puntiamo a raggiungere il 30% circa dei volumi, equivalente a 40 milioni di “fumatori” e intorno al 40% dei ricavi. Se cambieranno le leggi, servirà meno tempo. L’impatto sugli utili? Rispetto alle sigarette, vendiamo anche i dispositivi e gli accessori. Una volta raggiunto il break-even, la redditività aumenterà».
Non si rischia, però, di avvicinare alla sigaretta elettronica anche i giovani che non hanno mai fumato?
«Stiamo lavorando a una App, che lanceremo il mese prossimo, per limitare il fumo, grazie al riconoscimento facciale. Vieteremo la vendita a chi, a seconda del Paese, non ha l’età per fumare. Cominceremo dai negozi che gestiamo direttamente, e il controllo sulle vendite è una delle ragioni per cui abbiamo deciso di aprire punti di vendita per la prima volta nella storia. Ma penso che un’App sia la soluzione giusta per il retail in generale».
In Italia avete investito 1 miliardo, creando 1.200 posti di lavoro, per aprire a Bologna il più grande stabilimento nel mondo dedicato ai prodotti senza combustione. Quali sono i progetti?
«Abbiamo preferito l’Italia alla Germania, i due Paesi finalisti, per la presenza della filiera emiliana del packaging. Oggi nel vostro Paese i nuovi prodotti valgono il 4,8% del mercato, ma nelle grandi città siamo sopra il 10%. Il test a Milano? L’Italia ha una delle leggi sul fumo più restrittive al mondo, mentre il Giappone una delle più permissive, là questi prodotti sono al 17% e hanno fatto crollare le vendite delle sigarette tradizionali».