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 2020  febbraio 09 Domenica calendario

La crisi in Turingia


Dopo la tempesta della Turingia, Angela Merkel prova a rimettere la Chiesa al centro del villaggio. Atterrata all’alba di ieri a Berlino, di ritorno dal Sudafrica, la cancelliera ha subito telefonato al commissario del governo per i Länder dell’Est, Christian Hirte, suo compagno di partito, per ordinargli di dimettersi immediatamente. L’annuncio ufficiale è arrivato in poche ore. Mercoledì scorso, subito dopo l’elezione del liberale Thomas Kemmerich a governatore del Land con i voti decisivi dell’estrema destra nazionalista, Hirte si era congratulato via Twitter con «il candidato del centro», che aveva permesso di «sconfiggere la coalizione rosso-rosso-verde», il governo uscente tra Linke, Spd e Verdi. Contemporaneamente si è dimesso con effetto immediato Kemmerich, che aveva già annunciato l’intenzione, rimanendo tuttavia vago sui tempi. Anche in questa accelerazione c’è la mano di Angela Merkel, che durante il viaggio da Johannesburg aveva avuto intense conversazioni con il leader della Fdp, Christian Lindner. Berlino locuta causa finita? Per nulla. Che la cancelliera abbia preso la vicenda nelle sue mani, facendone una «Chefsache», una questione del capo, conferma la gravità del vulnus prodotto dalla sbandata dei cosiddetti «partiti borghesi» della Turingia nella politica tedesca e negli stessi principi condivisi della democrazia federale. Ma per quanto tempestivo e necessario, l’intervento calato dall’alto, quasi ex machina di Merkel, rischia di rivelarsi parziale e per nulla risolutivo rispetto al problema di fondo: l’esistenza nell’Est di una forza politica divergente rispetto all’intero sistema, che a dispetto delle sue chiare contaminazioni neonaziste attira il consenso di un elettore su quattro. Di più, pur con le migliori intenzioni, l’azione della cancelliera rischia di approfondire il solco tra centro e periferia dei Länder orientali. Le sue decisioni e l’intimazione esplicita a «cancellare l’elezione del ministro-presidente in Turingia» provocano infatti irritazione nelle stesse file della Cdu locale, dove si levano voci contro «l’intromissione da Berlino», «proprio come ai tempi della Ddr». In esplicita polemica con Merkel, il segretario cristiano-democratico della regione ha lodato il dimissionario Hirte, uno che «faceva gli interessi della gente dell’Est». Né la crisi politica appare di facile soluzione. Per convocare nuove elezioni occorre una maggioranza di due terzi nel Parlamento regionale. Ma tranne i Verdi, dopo quanto è successo tutti, compresa AfD, temono di uscirne male. Intanto la Linke, che ha avuto oltre il 31% dei voti in ottobre, mette in campo di nuovo il governatore uscente Bodo Ramelow.