La Stampa, 8 febbraio 2020
Intervista a Daria Bignardi
Daria Bignardi ama «spettinare» le interviste, partire da una traccia per poi seguire il flusso delle parole di chi ha di fronte e lasciarsi andare all’improvvisazione. «Ogni persona è come un romanzo e cerco di far venire fuori il racconto che c’è in lei», spiega con il suo tono gentile e confidenziale. Lo stesso che ha in televisione, a cui ci ha abituato dai tempi delle Invasioni Barbariche. Uno stile educato, audace e pungente. «Come dice il mio mito, la scrittrice Svjatlana Aljaksandraŭna Aleksievič, mi interessa l’anima degli eventi, il fattore umano».
Giornalista, autrice, scrittrice di sei romanzi pubblicati e tradotti in 14 Paesi (l’ultimo, Storia della mia ansia, anche in Iran), per un anno e mezzo è stata direttrice di Rai 3. Dopo le prime otto puntate andate in onda in autunno, dal 12 febbraio ritorna in prima serata su Nove con L’Assedio, talk show che mixa fra gli ospiti personaggi legati all’attualità, nomi celebri e vere scoperte.
Un ritorno in tv dopo quattro anni di assenza. Aveva detto che voleva smettere per dedicarsi alla scrittura. Poi cosa è successo?
«Una delle cose più divertenti è stupirsi di se stessi. Ero certa di non tornare in televisione ma spesso le cose succedono per caso. Quando ho ripreso, a ottobre, ero contenta ma non sapevo cosa avrei provato in diretta. Ho impiegato un paio di puntate a sciogliermi, poi mi sono sentita benissimo. Ora ricomincio con uno spirito positivo, sereno e con meno ansia. Quando ti prendi delle pause e fai altro, ti nutri di tante cose che hai voglia di trasformare in scrittura, in questo caso televisiva. Credo che fare nuove esperienze ti aiuti a ridare vita al tuo lavoro».
Di cosa ha sentito la mancanza?
«Più che altro del gruppo. Dopo l’esperienza in Rai per due anni mi sono dedicata alla scrittura, che è un lavoro solitario. Adesso siamo 15 persone tra vecchi collaboratori e diversi giovani. Mettiamo cuore e anima nella preparazione di ogni puntata, divertendoci molto. L’ultimo anno di Invasioni ero stravolta e per molto tempo ho associato la stanchezza al lavoro, in realtà ero malata, ma non lo sapevo. L’ho scoperto subito dopo aver finito la trasmissione. Mi ero convinta di non avere più l’energia adatta, che la tv mi logorasse. C’è voluto del tempo per riposarmi e fare altro. Anche se la mia condizione ideale sarebbe quella di fare sei mesi di tv e gli altri sei dedicarli alla scrittura per ricaricarmi».
Pensa alle quote rosa quando fa il programma?
«Invito le donne perché mi fa piacere averle in trasmissione, le rappresento, sono parte della realtà, presenti in tutti i campi in maniera più accesa, interessante, libera. Credo ci sia stato un profondo cambiamento nella società da questo punto di vista. Non si torna più indietro. Il nostro ruolo è cambiato, finito il dominio maschile e questo va testimoniato da chi racconta il presente».
Esistono gli ingredienti per l’intervista perfetta?
«Conoscere il più possibile della persona che hai davanti, farsi ispirare da qualcosa che vedi solo tu e saper ascoltare per cercare una chiave personale in ogni racconto».
Cosa le ha lasciato l’ esperienza da direttrice di Rai 3?
«A volte penso ancora "chi me lo ha fatto fare?". So di aver dato tutto quello che era nelle mie possibilità. È stata faticosissima ma non negativa. Essere direttore di rete in un’azienda come la Rai, di cui penso solo bene, così come delle persone che ho incontrato, presuppone delle capacità e una storia con caratteristiche diverse dalle mie. Io mi sento un autore puro. Forse ho un po’ sopravvalutato le mie forze fisiche perché ho iniziato una settimana dopo l’ultima chemioterapia: se dopo una malattia importante uno si riposasse sarebbe meglio ».
Si è messa alla prova?
«Fa parte del mio carattere. Certe persone lo fanno per superare e sconfiggere il drago, poi capisci che puoi vivere bene anche senza, volendoti più bene e stando più attenta. Sono stata sempre molto audace ma con il tempo ho compreso che la prudenza è un ingrediente importante dell’equilibrio di chiunque abbia delle responsabilità, degli obiettivi da raggiungere, un lavoro con una componente artistica».
Non ha mai pensato di impegnarsi in politica?
«Mi sono state fatte diverse proposte, anche allettanti, ma sono scappata a gambe levate. Mi piace molto quando le Sardine parlano di rivalutare la competenza nella politica, un pensiero che condivido in pieno. Ma io sarei inadatta, non ho le caratteristiche».
Un anno fa ha dichiarato che "questo Paese è irriformabile". La pensa ancora così?
«Sì, e mi dispiace dirlo. L’Italia è un Paese difficile da riformare per com’è strutturato. Nell’animo umano ho fiducia, nei giovani vedo una spinta innovatrice, molta più integrità, sono convinta che si vada verso il bene e non verso il male. Nonostante le mie malinconie mi reputo una persona ottimista».
Veste meglio i panni di intervistatrice o di intervistata?
«Intervistata mi trovo malissimo tranne quando si tratta di libri perché parlo di un’opera e ho un sacco di cose da dire. Ma sono una pessima teorica».
Teme il passare degli anni?
«Non ho paura di invecchiare. Mi piaccio più adesso di quando avevo venti o trent’anni. E mi reputo molto fortunata perché ho ereditato la pelle che aveva mia madre, ed era una donna molto bella».
A cosa non rinuncerebbe mai?
«A stare con i miei figli, che hanno 17 e 23 anni. Un momento con loro è sempre molto prezioso».