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 2020  febbraio 08 Sabato calendario

Evviva i romanzi d’amore

Le storie d’amore sono vecchie come il mondo. Venivano raccontate intorno ai fuochi da campo, i Minnesänger (poeti tedeschi medioevali, ndt) le portavano di castello in castello, e correvano di bocca in bocca nelle stanze dove le contadine filavano e nei saloni dell’alta società. Chi potrebbe stupirsi? Non è forse l’eros, l’amore, uno dei più potenti motori dell’esistenza umana? Un’ebbrezza straordinaria e passeggera che paralizza la ragione e acuisce i sensi, che ci fa compiere follie e ci può portare sull’orlo della morte o innalzare alla massima beatitudine. Chi nella vita non è mai stato risucchiato nel vortice della droga amorosa è senza dubbio da compatire. E chi poi si ritrova di nuovo in un’esistenza dominata dalla quotidianità e dalla ragione, ripensando all’epoca del primo amore, non potrà che sospirare: «Com’eravamo felici allora!». Le storie d’amore sono felicità di seconda mano. Ci permettono di immergerci in quegli attimi da sogno, struggenti, vertiginosi e appaganti, sono necessarie per tutti noi perché niente è più prezioso nella vita di un momento felice. E tutti noi, uomini e donne, abbiamo bisogno di storie d’amore. Questo bisogno mi ha contagiata fin dalla tenera età di cinque anni. I miei genitori passavano quasi sempre la serata davanti al televisore, dalle otto alle otto e un quarto c’era il telegiornale, dopodiché per i bambini vigeva il coprifuoco e io dovevo andarmene a letto. Ma dopo il telegiornale iniziava il film, quasi sempre una storia d’amore e, a volte, se la trama era molto appassionante, mia madre si dimenticava di me. Io cercavo di farmi piccola piccola e invisibile, ma immancabilmente la mamma a un certo punto si guardava intorno e scopriva la figlioletta che fissava lo schermo affascinata, con gli occhi spalancati. Ancora oggi mi sembra di sentire i suoi ammonimenti: «Cosa ci fai ancora qui? Subito a letto!».
Pianti e lamenti erano perfettamente inutili: mi ritrovavo nel mio letto a fissare il buio e a chiedermi come sarebbe andata a finire la storia. Mi venivano in mente un’infinità di avventure e intrecci meravigliosi, appassionanti e commoventi, finché i due innamorati non riuscivano a ritrovarsi. Be’, in realtà questo ricongiungimento finale non era poi così grandioso, ormai lo slancio era finito, l’amore aveva trionfato e a quel punto non era più così eccitante, realizzandosi aveva perso tutta la sua forza e il suo fascino.
Si può affermare a ragione che all’epoca la mia severa madre, senza minimamente sospettarlo, mi abbia trasformata in una scrittrice. Storie e romanzi su vicissitudini e traversie amorose vengono scritti soprattutto dalle donne, e dalle donne vengono letti. Il segreto del loro successo è la prospettiva femminile, la visione femminile del mondo che in essi viene alla luce e in cui le donne si ritrovano. Non solo perché noi donne viviamo i momenti romantici diversamente dagli uomini, ma anche perché – fin dal XIX secolo, quando la vita delle donne si limitava alla cucina, alla chiesa e ai figli – in questi romanzi compaiono eroine emancipate. Un concetto di emancipazione ovviamente circoscritto, ma si trattava pur sempre di protagoniste che si concedevano pensieri autonomi, che criticavano le condizioni dell’epoca e che addirittura lottavano attivamente per il loro amore. Il che scatenò subito aspre critiche da parte del genere maschile, che etichettava i romanzi femminili come kitsch, immorali e pieni di sentimenti finti. Le giovani donne della migliore società venivano espressamente messe in guardia da simili “porcherie”. Cosa che comunque non poteva frenare l’entusiasmo per la lettura – anzi, tutt’altro.
Ma cosa si nascondeva dietro queste critiche? Gli uomini avevano forse paura che in futuro le donne potessero avere più pretese? In effetti la visione femminile rivelava che non era sufficiente essere bello e ricco, oppure muscoloso e virile, per affascinare una donna. E, soprattutto, che lei non voleva più essere scelta dall’uomo e benevolmente innalzata al suo livello. La protagonista delle storie d’amore scritte dalle donne aveva un’evoluzione autonoma, falliva, faceva esperienze e infine conquistava con le proprie forze l’oggetto dei suoi desideri – un percorso che fino ad allora era stato concesso solo agli eroi maschili.
L’immagine della donna è cambiata radicalmente rispetto al XIX secolo, ma la sua condizione si rispecchia ancora oggi nelle nostre storie d’amore. Siamo diventate più combattive, siamo attive nel mondo del lavoro, siamo madri e amanti, ma anche concorrenti e critiche, soffriamo e ci disperiamo, possiamo odiare e intrigare, ci imponiamo, trionfiamo e falliamo. Pretendiamo molto da noi stesse, eppure il desiderio d’amore, quel meraviglioso appagamento, rimane ciò che rende la nostra vita degna di essere vissuta. Per questo siamo alla costante ricerca di quell’uomo degno di essere amato per una vita intera.
Oh, e abbiamo un’idea molto precisa di lui. Bell’aspetto e soldi non sono tutto, però non sono certo un ostacolo. Ma ha anche un po’ di cervello? E quanto a empatia? È comprensivo? Sensibile? Può anche avere qualche “fisima”, questo lo rende simpatico, ma ci deve essere “chimica”. È un buon partner? Un buon padre? Un amante focoso? Anche questo è importante, nessuna di noi vuole un noiosone. Quest’uomo esiste, si aggira da qualche parte nel mondo, e lei deve solo trovarlo. Attraverso migliaia di false piste, di avvincenti e tenere complicazioni, attraverso battaglie e delusioni, il suo cammino porta fino a lui. Spesso si trova addirittura dietro l’angolo, solo che lei non l’aveva notato.
Una volta, prima di una presentazione in libreria, una signora anziana è venuta da me dicendo: «Lo sa, stavo passando un brutto periodo. Allora ho iniziato a leggere i suoi libri, giorno e notte. E questo mi ha aiutato tantissimo».
Ero profondamente commossa. Ma anche orgogliosa e felice. Sì, abbiamo bisogno di storie d’amore, sono il sale della vita, la gioia delle nostre ore, la neve che brilla sulle montagne delle nostre malinconie.
(Traduzione di Alida Daniele)