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 2020  febbraio 08 Sabato calendario

Il paziente zero italiano contagiato per amore

LUZZARA (REGGIO EMILIA) — Ai tavoli del bar, a due passi dalla torre, gli anziani giocano a carte e tendono l’orecchio per ascoltare meglio le notizie della radio. La barista cinese dietro al bancone vive in paese da quattordici anni, serve il caffè e chiede: «Come sta quel ragazzo?». Cinquecento chilometri separano la piccola Luzzara dall’ospedale Spallanzani di Roma, dove in una stanza isolata dal mondo trascorre le sue ore un paziente che il mondo ama girarlo. Si è dovuto fermare per un infelice record: è il primo italiano colpito dal coronavirus. Parla con i suoi genitori attraverso il cellulare, ha con sé il tablet per comunicare e lavorare, a chi lo chiama confida: «Sto bene, mi sento tranquillo. Al momento non ho nessun disagio particolare».
È nato 29 anni fa sulla riva reggiana a destra del Po e come tanti ha fatto presto le valigie. Ha studiato a Milano, dove si è laureato, è esperto in sicurezza informatica, oggi fa il ricercatore in un’università della California, fra le migliori nel campo della computer science. Era partito per Wuhan, la regione focolaio del virus, per festeggiare il capodanno cinese con la fidanzata, originaria di quella zona. Insieme avrebbero dovuto proseguire il viaggio nel sud-est asiatico ma l’emergenza ha stravolto i piani. La compagna è rimasta in Cina, lui è salito a bordo dell’aereo italiano che lunedì scorso ha portato a Roma 56 nostri connazionali, trasferiti nella città militare della Cecchignola. Prima della partenza è stato sottoposto al controllo della temperatura, come raccomandato dall’Oms. In Italia è rimasto in quarantena, assieme ai compagni di viaggio, fino a quando le analisi hanno certificato l’infezione e hanno reso urgente il suo trasferimento allo Spallanzani. Come ha spiegato il direttore scientifico Giuseppe Ippolito, «i colleghi della Cecchignola stanno tracciando tutti i contatti» che ha avuto il ragazzo risultato positivo al test. Al momento le sue condizioni non preoccupano: ha un po’ di febbre e la congiuntivite e ha iniziato una terapia antivirale. «È sereno, in contatto con la sua famiglia e fiducioso nelle capacità dei professionisti dell’istituto», spiega l’assessore alla Sanità del Lazio Alessio D’Amato. Anche i compagni in quarantena, impazienti di sapere quanto durerà il loro esilio sanitario, hanno chiesto sue notizie.
Pochi a Luzzara, ottomila abitanti al confine tra Emilia e Lombardia, la stessa pianura dov’è nato Cesare Zavattini, si ricordano del ragazzo. Ma tutti conoscono i suoi genitori. Il padre è un medico molto stimato che lavora in provincia. Ieri mattina lo ha chiamato al telefono il sindaco Andrea Costa, che poi ha confermato una notizia che si era diffusa online e inevitabilmente era sulla bocca di tutti: «Ho sentito il padre, che è in contatto con lui. Fortunatamente mi ha dato notizie confortanti. Ho scritto un messaggio su Facebook per evitare il panico e tranquillizzare la popolazione», spiega.
La torre simbolo del paese segna le ore, in cima c’è la sagoma del luccio, raffigurato anche nello stemma comunale, il pesce che avrebbe dato il nome alla cittadina. I commenti viaggiano sotto i portici, dalla farmacia al macellaio. «Conosco la famiglia, come tutti – racconta il tabaccaio – il figlio è andato via tanti anni fa. E se non me lo ricordo io... Speriamo che migliori». Don Piergiorgio, parroco della chiesa di San Giorgio, dice: «Sono qui da nove anni e non l’ho mai visto. I genitori sono persone impegnate in parrocchia, inserite e conosciute nella comunità. Ho scritto al padre per dirgli che gli siamo vicini e preghiamo per loro». Nei bar si ricostruiscono vite e carriere, si parla delle tante persone che lasciano il paese per studio o lavoro e tornano un paio di volte l’anno. Familiari e amici del ragazzo preferiscono non parlare, anche il padre declina l’invito con gentilezza.
Al ricercatore, il ministro della Salute Roberto Speranza ha espresso al telefono «sostegno e vicinanza da parte di tutta la comunità nazionale». Gianni Rezza, direttore del dipartimento di Malattie infettive all’Istituto superiore di sanità, chiarisce: «Anche se non si può escludere del tutto, ritengo molto improbabile che l’italiano risultato positivo possa avere trasmesso l’infezione a qualcun altro dei 55 rientrati da Wuhan».