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 2020  febbraio 01 Sabato calendario

Su "Il fuoco e l’oscurità. Dresda 1945" di Sinclair McKay (Mondadori)

Il piccolo Georg Frank al momento di andare a dormire mise il cappellino da pagliaccio su una sedia accanto al letto. Si era divertito: con tanti altri bambini di Dresda il 13 febbraio del 1945 aveva festeggiato il carnevale al circo. Distante ma non troppo dalla casa del piccolo tedesco, il prigioniero di guerra americano nonché futuro romanziere, Kurt Vonnegut, era appena stato chiuso a chiave nelle cantine del mattatoio n. 5 di Dresda, adibito a carcere.

Era stato catturato poche settimane prima nella zona delle Ardenne. Lo studente Winfried Bielss, dopo aver indossato la divisa della Gioventù hitleriana, svolgeva controlli serali e, sempre alla stessa ora, a più di milleseicento chilometri di distanza, l’inglese Miles Tripp, aitante aviatore nella Raf, era stato convocato per un briefing speciale: il giorno dopo sarebbe partito per una missione in Germania. Cos’hanno in comune questi protagonisti così diversi tra loro, le cui vicende sono riunite nel libro del saggista Sinclair McKay Il fuoco e l’oscurità. Dresda 1945 (in uscita da Mondadori, pp. 456, €15)? Il 13 febbraio ricorrono 75 anni da uno dei più devastanti bombardamenti avvenuti durante la seconda guerra mondiale: quello della città tedesca di Dresda divenuta, dopo essere stata rasa al suolo, il simbolo del più feroce e spietato accanimento bellico.

Guerra di statistiche
Ma questo non è l’ennesimo libro su Dresda. Bensì una documentatissima ricerca che vuole contrastare le aggressive tesi dell’estrema destra tedesca che gonfia per motivi propagandistici il numero di quanti perirono in questo massacro arrivando a conteggiare 300 mila persone (la stessa cifra annunciata subito dopo l’attacco da Goering).

Il ricercatore inglese ci restituisce oggi un dettagliatissimo quadro dei giorni in cui si verificò l’ incursione da parte dei bombardieri statunitensi del generale Carl Spaatz e dei Lancaster del Regno Unito coordinati dal maresciallo dell’aria Arthur Harris. Lo fa in una narrazione corale dove si alternano le voci dei superstiti e dei militari Alleati, con documenti inediti recuperati dallo Stadtarchiv di Dresda e dall’Imperial War Museum di Londra. Ma, a missione compiuta, si aprì un altro incendio difficile da sedare: i media inglesi e quelli statunitensi, superando gli ostacoli posti dalla censura di guerra, entrarono in ebollizione.

Un alto ufficiale dell’aviazione inglese si lasciò sfuggire che quello di Dresda era stato «un bombardamento terroristico». La pioggia di ordigni, spiegò, era servita agli Alleati non a demolire fabbriche, ferrovie o impianti ma a «creare terrore», a gettare i civili e l’amministrazione cittadina nel caos e a interrompere i collegamenti e le comunicazioni.

Dopo quest’affermazione si scatenò un putiferio mentre Winston Churchill, che pure aveva dato il suo assenso all’operato di Harris, si tirava indietro. Il dibattito se la devastazione potesse essere definita un «crimine di guerra» e uno sterminio di massa è proseguito nel dopoguerra. Cosa accadde, realmente, dunque in quei due giorni, stando alle testimonianze recuperate da McKay? Prima della guerra, Dresda era una città florida e splendente di bellezze artistiche. Era un importante centro economico, militare e uno snodo ferroviario. Nell’autunno del 1944 e poi nel gennaio 1945 piombarono sulla città gli avvoltoi venuti dal cielo.

Annichilimento
A cosa puntavano gli Alleati: a colpire punti nevralgici oppure a una distruzione totale? McKay non ha dubbi: il modo stesso in cui furono messi in atto i cosiddetti «bombardamenti strategici» era una testimonianza della volontà di un completo annichilimento della città. Si aspettò il giorno giusto per l’operazione bellica. Era necessaria una bassa dose di umidità nell’aria in modo che le costruzioni di legno s’incendiassero. Erano le 22 e 3 minuti quando 796 bombardieri sorvolarono la Schlossplatz di Dresda e scaricarono circa 1.500 tonnellate di bombe che devastarono le case e mandarono in frantumi tutti i vetri e poi altre 1.200 tonnellate di esplosivi che appiccarono il fuoco. Il giorno dopo i B-17 americani si accanirono con altre 1.250 tonnellate di ordigni che uccisero pompieri e volontari. In una sola notte perirono circa 25 mila persone. All’alba del 14 si scatenò la firestorm o tempesta di fuoco. I numerosi incendi che continuavano a formarsi si riunirono in un unico, gigantesco falò che consumò tutto l’ossigeno e risucchiò l’aria. Il vento raggiunse la velocità di un uragano, la temperatura dell’aria salì di migliaia di gradi. Non fu più possibile contare i morti.

Ma quando e da chi era stata concepita la decisione di devastare la città? Due giorni prima del bombardamento, l’11 febbraio, nella celebre conferenza di Yalta, Josif Stalin, Franklin Delano Roosevelt e Churchill decisero di favorire l’avanzata dell’esercito sovietico creando «confusione ed evacuazioni di massa». Berlino e Dresda finirono nella lista dei primi obiettivi. A Londra, il consigliere del premier inglese, Lord Cherwell, aveva sentenziato che bisognava mirare a «de-house», a privare della casa la popolazione delle grandi città tedesche.

Adesso, proprio per non far cadere nell’oblio la distruzione di Dresda, l’organizzazione britannica, Dresden Trust, nata per sostenerne la lentissima ricostruzione, ha stabilito un particolare gemellaggio fra la «Firenze tedesca» e Coventry, nelle Midlands inglesi, che fu attaccata nel novembre 1940 dalla Luftwaffe e ridotta a piombo fuso, pietra e mattoni incandescenti. Il rapporto tra i due martoriati luoghi è attualmente l’emblema della determinazione degli europei a evitare gli orrori delle guerra.