Il Sole 24 Ore, 7 febbraio 2020
Irlanda, sarà la crisi delle case a decidere il voto
All’ingresso degli uffici di Focus Ireland, non distante da Christ Church, la cattedrale anglicana della città, è piazzato in bella vista un contenitore colmo di coperte, giacconi e altri indumenti usati. Un biglietto da visita che chiarisce subito gli obiettivi della charity, attiva nel sostegno ai senzatetto. Quella degli “homeless” – le persone senza casa o con una sistemazione di fortuna – a Dublino sta diventando una vera e propria emergenza sociale, che va oltre la manifestazione tangibile dei sempre più numerosi senzatetto che chiedono la carità ai bordi delle strade.
Uno scenario che fa capire come il vero tema chiave del voto anticipato di domani in Irlanda non sia l’economia che continua a correre, o Brexit con l’accordo sul confine tra le due Irlande conseguito con soddisfazione dal premier uscente Leo Varadkar, ma l’emergenza abitativa: poche case, prezzi di compravendita elevatissimi, affitti proibitivi. Su questo, stando ai sondaggi che lo vedono addirittura terzo, il partito del premier – il centrista Fine Gael – rischia seriamente di giocarsi la riconferma; e puntando su temi sociali, case in testa (più che sul tradizionale cavallo di battaglia dell’unificazione con l’Irlanda del Nord) i nazionalisti del Sinn Fein, primi con il 25% delle intenzioni di voto, stanno costruendo il loro previsto boom, che comunque difficilmente li porterà a governare, se non in coalizione con l’altro storico partito centrista irlandese, il Fianna Fail.
L’emergenza homeless
A dare la dimensione dell’emergenza “homeless” a Dublino, nelle parole di Mike Allen, voce e promotore presso l’opinione pubblica delle battaglie di Focus Ireland, non è tanto il valore assoluto quanto il trend dei numeri: «Da quando raccogliamo queste statistiche, cioè dal 2014 ad oggi – spiega – il numero delle persone senzatetto o con una sistemazione di emergenza in Irlanda è quasi quadruplicato (circa 10mila persone, ndr) e in maniera ancora più netta, soprattutto a Dublino, sono aumentate le famiglie homeless». L’associazione cerca di fornire due tipi di supporto: un aiuto a gestire la condizione e un contributo a uscire da questo quadro di precarietà, anche grazie alla proprietà o alla gestione, in partnership con lo Stato, di un migliaio di abitazioni, demandata a Focus Housing entità giuridicamente distinta dalla charity.
Eppure a guardare il cielo sopra Dublino è tutto un fiorire di gru e cantieri, che rende difficile credere che non si costruiscano abbastanza case. Sono però soprattutto «edifici commerciali, uffici o residenze per studenti: un settore con maggiori margini di profitto e meno rischi», come sottolinea Fergal O’Brien, direttore dell’Ibec, la principale associazione imprenditoriale del Paese. E la causa di questo sbilanciamento nell’offerta va cercata anche nella grande crisi del 2008-2009, con lo scoppio della bolla immobiliare che travolse quella che allora era la Tigre Celtica: «È un problema di capacità produttiva – racconta O’Brien -. L’industria delle costruzioni si è fermata con la crisi, molti costruttori hanno abbandonato l’attività. Il Paese ha avuto poi una ripresa straordinaria, ma il settore edilizio non ha risposto con la stessa rapidità al nuovo aumento della domanda».
Di qui l’aumento vertiginoso dei prezzi di compravendita – a Dublino oggi il costo medio di un appartamento oscilla tra i 300 e i 400mila euro – non accessibili per la maggior parte delle famiglie, tanto più che la Banca centrale irlandese, dopo la crisi, ha stabilito regole prudenziali per la concessione dei mutui, il cui ammontare non deve per esempio superare tre e volte e mezzo il reddito annuo del richiedente. Altrettanto forti le pressioni sul mercato degli affitti (la media, sempre a Dublino, è oggi attorno ai 2mila euro al mese). Inevitabile la fuga verso l’hinterland, con le ricadute su infrastrutture e trasporti congestionati e sull’ambiente. Un nodo – quello della qualità di vita e dell’ambiente di lavoro – che sta particolarmente a cuore agli imprenditori, preoccupati dell’attrattività dell’Irlanda per imprese e lavoratori stranieri.
Sugli alti costi e sulle scelte dei costruttori orientate verso il settore commerciale più che su quello residenziale incidono però anche altri fattori, come sottolinea Ronan Lyons, economista del Trinity College di Dublino: «Non metterei troppa enfasi sulla capacità produttiva. C’è anche un problema di regole che vincolano la costruzione delle case molto più di quella degli uffici: dimensione minima o efficienza energetica da rispettare sono tutte norme importanti e comprensibili che però hanno avuto e hanno un impatto sui costi delle case».
E c’è infine il nodo dell’edilizia sociale, le case popolari che sono venute drammaticamente a mancare negli ultimi anni. «Durante la crisi – nota ancora Mike Allen – abbiamo smesso di costruire case popolari, la spesa pubblica si è fermata e non è più ripartita, tanto più che già dalla fine degli anni 80 l’iniziativa anche in questo ambito era stata progressivamente demandata al settore privato». E spesso anche i terreni di proprietà dello Stato e delle autorità locali sono stati gestiti, per ragioni di bilancio o per rientrare dal debito accumulato con la crisi, con logiche privatistiche.
Il nodo dell’edilizia sociale
«Tutti i partiti – fa notare Orla Hegarty, architetto e professore della Scuola di Architettura, progettazione e politiche ambientali dello University College di Dublino – promettono più case e tutti gli ultimi governi hanno fatto di questo numero la misura del loro successo, ma dipende da che tipo di case si tratta, di che dimensione, dove vengono costruite: nella città, dove c’è bisogno di residenze accessibili o nella commuter belt, l’hinterland abitato dai pendolari, con ricadute in termini di traffico e inquinamento? Oggi alcune zone di Dublino – e penso a un quartiere che ospitava tradizionalmente la classe operaia come le Docklands – stanno andando incontro a quella che con un eufemismo viene definita gentrificazione, ma è un vero e proprio trasferimento forzato».
Sono ferite che sembrano destinate a pesare su chi negli ultimi anni (dal 2011) ha governato, ossia il Fine Gael del giovane e moderno leader Leo Varadkar, nonostante i risultati brillanti di un’economia cresciuta l’anno scorso del 5,6% e di fatto tornata alla piena occupazione. «Un Paese – conclude però ancora Orla Hegarty – è più dell’economia: bisogna creare reddito ma anche opportunità».