La Stampa, 7 febbraio 2020
Biografia di Joe McCarthy
Il poeta tedesco Bertolt Brecht si presentò davanti all’interrogatorio all’House Un-American Activities Committee, Huac, il 30 ottobre 1947, appestando la stanza, tra microfoni e cronisti, con il sigaro. Sarcastico, ritagliò il giorno dopo una foto dai giornali, la didascalia a recitare «Cortine di fumo», conservandola nel Diario di lavoro (Einaudi). I commissari volevano sapere se Brecht fosse un comunista iscritto al partito e avesse commesso atti contrari alla Costituzione. Tanti scrittori, sceneggiatori, uomini e donne di Hollywood e delle lettere di New York si rifiutarono di rispondere, appellandosi al Quinto Emendamento alla Costituzione, che tutela i cittadini dall’autoincriminarsi; Brecht, emigrato in California per sfuggire al nazismo e senza cittadinanza, ebbe paura di finire in galera, parlando oscuramente - «Ho scritto in tedesco non so come han tradotto…», «Poesie rivoluzionarie? Sì, ma contro Hitler» - e rifugiandosi poi nella Ddr comunista.
Era l’America della Guerra fredda contro l’Urss di Stalin, l’ex alleato diventato mortale nemico atomico. Charlie Chaplin, l’amato Charlot, il maestro giallista Dashiell Hammett, l’attore Orson Welles, il poeta Langston Hughes, il commediografo (marito di Marilyn Monroe) Arthur Miller, il cantante folk Pete Seeger, il direttore d’orchestra Leonard Bernstein, tutti sollevarono i sospetti di Huac, chi interrogato, chi spedito sulla «lista nera» che escludeva dai contratti nel cinema e sui giornali, chi in galera. Hammett tenne duro, senza denunciare i vecchi compagni, morendo da solo nel 1961, altri cedettero.
La «caccia alle streghe», come la storia ricorderà l’infelice stagione, prese forza, dapprima senza enfasi, 70 anni or sono, il 9 febbraio 1950. In un discorso a Wheeling, West Virginia, il senatore repubblicano del Wisconsin Joseph McCarthy, corpulento e aggressivo, si appellò alle bonarie signore del Club Femminile del partito, contea Ohio. Le dame, entusiaste per la scoperta recente dei contenitori di plastica con coperchi ermetici Tupperware, venduti da appena quattro anni, divennero protagoniste della storia, perché McCarthy estrasse dalla tasca della stazzonata giacca di tessuto sintetico, altra novità assoluta del 1948, un foglietto piegato, esclamando «Ho qui in mano la lista di 205 (funzionari del Dipartimento di Stato) noti al Segretario agli Esteri come militanti del Partito comunista, eppure tenuti al loro posto!».
Il discorso rimbalza a Washington, scuotendo l’amministrazione democratica di Truman, poi, dal 1952, quella repubblicana di Eisenhower, due presidenti uniti dal disprezzo per il demagogo McCarthy, consci però della sua popolarità nel Paese. Un solo giornale coprì il discorso, rendendo così incerto il numero di «spie» dell’Urss al Dipartimento di Stato: 10, 81, 57, il senatore - abile come tutti i populisti, ieri e oggi, nella menzogna a effetto - cambiava le cifre a ogni intervista, senza mai dar prove.
Le sofferenze della sua campagna, cui partecipò dapprima, come segretario, anche un giovane Robert Kennedy, fratello del presidente John e futuro senatore, furono atroci. Suicidi, vite spezzate, galera, censura, l’odio che il nazionalismo cieco diffonde sempre nella vita civile. Artisti di successo come Dalton Trumbo finirono sulle «black list», ridotti a firmare le sceneggiature con falsi nomi o con la sigla di amici, interrogati con la formula di rito «Lei è adesso, o è stato in passato, membro del Partito comunista?», giudicati colpevoli di oltraggio alla corte in caso di silenzio. Per Trumbo la carriera finì per dieci anni, finché nel 1960 il regista Otto Preminger e l’attore Kirk Douglas, appena scomparso, non ruppero il veto dandogli credito nei titoli dei kolossal Exodus e Spartacus. Solo nel 2011, un quarto di secolo dopo la morte, gli venne attribuito l’Oscar postumo per il delizioso Vacanze romane del 1953, diretto da Wyler con Gregory Peck e Audrey Hepburn.
Il Partito comunista Usa non fu mai di massa, la sinistra raccolta intorno a democratici e sindacato, ma tra gli intellettuali, i neri, la cellula di Harlem aveva migliaia di iscritti, ottenne peso. Gli europei lo disprezzavano, il dirigente comunista italiano Giancarlo Pajetta amava dire «Il Pc Usa ha due correnti, Fbi e Cia» per denunciarne l’infiltrazione della polizia. McCarthy, come gli altri colleghi di livore, il sacerdote cattolico e oratore radiofonico padre Coughlin per esempio, seminava zizzania, ma l’Unione Sovietica ebbe davvero importanti spie in America in quegli anni. Non le ingenue stelle del cinema, ma agenti segreti professionali come il colonnello Abel, la cui storia è ricostruita da Spielberg al cinema con Il ponte delle spie e nel magnifico libro di Kirill Chenkin Il cacciatore capovolto (Adelphi). Il diplomatico Alger Hiss venne denunciato nel 1948 come agente sovietico dall’ex comunista Whittaker Chambers, finendo condannato a dieci anni nel 1950. Gli storici dibattono ancora sul caso, ma i documenti «Venona Papers» del 1995 sembrano indicare che lavorasse in clandestinità per il Cremlino. Nei laboratori di Los Alamos, dove venne progettata la bomba atomica, Stalin aveva due spie, Klaus Fuchs e David Greenglass, poi arrestate, ma il dossier Venona ne identifica una terza, il fisico prodigio Theodore Hall. Per anni si è cercata la quarta, nome in codice Godsend, ora è indicata in Oscar Seborer, un ingegnere sismologo. Insieme permisero a Stalin di avere la sua atomica il 29 agosto 1949, appena un anno prima del discorso di McCarthy.
Le streghe bruciavano, le spie lavoravano nell’ombra. McCarthy perseguitò anche gli omosessuali, sguinzagliando contro di loro il fido Roy Cohn, gay in segreto, morto di Aids e mentore degli esordi di Donald Trump, ma la sua fine, come sempre per i populisti, fu rapida e squallida. Dopo il dibattito al Congresso del 1954 su Comunisti e Forze Armate e il suicidio dello stimato senatore Hunt, ricattato dai maccartisti per il figlio gay, il 2 dicembre il Senato censurò Joe McCarthy, 67 a 22, misura rarissima alla Camera Alta Usa. Morì in disgrazia nel 1957, roso dall’alcol.