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 2020  febbraio 07 Venerdì calendario

La primavera anticipata attira i lepidotteri

Non sembra più un giardino, ma un campo di battaglia, ferito, lacerato e maltrattato: le siepi di bosso della bellissima Piazza della Bocca della Verità a Roma, quelli che diligentemente contornavano la Fontana dei Tritoni e le rovine del Foro Boario, giacciono tutti morti o quasi. 
I pochi esangui aspettano il colpo di grazia della prima piralide del 2020 per tirare definitivamente le cuoia e se questo caldo prosegue non mancherà molto. 
Inutile sacrificio 
Benvenuta primavera anticipata! Le nuove piante, che l’amministrazione man mano ha inviato al fronte a sostituire le cadute, han fatto la medesima fine: tenere prede ancora più ambite dal famigerato e crudelissimo lepidottero. Per quanto ancora si andrà avanti con questo inutile sacrificio? Perché ostinarsi a piantare bossi se non si può curarli adeguatamente? Nei giardini pubblici poi, dove i trattamenti chimici sono vietati e quelli laboriosissimi a base di nematodi una vera utopia, che senso ha continuare ad affidarsi a specie ormai risaputamente attaccabili e deboli? Lo stesso vale per le palme, falcidiate dal punteruolo rosso ma a volte insistentemente riproposte, quasi che i nostri lungomare non potessero proprio farne a meno. 
Tempi difficiliCerto non sono tempi facili per chi ama gli esotismi: accantonate con gran tristezza le magnifiche palme delle Canarie, c’eravamo appena abituati alle (peraltro validissime) alternative che ecco un nuovo spettro aggirarsi per l’Italia (e non soltanto).
E’ un vorace lepidottero che si chiama Paysandisia archon, detto volgarmente «castnide delle palme», arrivato questa volta dall’Argentina e dal vicinissimo e bellissimo Uruguay. In realtà nuovo non lo è affatto: pare che da noi sia stato segnalato la prima volta sul lungomare di Salerno nel 2002, poi è via via risalito verso la Toscana ed è giunto in Liguria a Vado nel 2010. Recentissimo l’avvistamento in un giardino di Rapallo. 
Di allarmismi sfrenati ce ne sono già abbastanza in questi giorni, i fan degli scenari tropicali non si facciano prendere dal panico: a detta degli esperti sono piccoli focolai isolati, che vanno subito combattuti perché possono portare anche alla morte della pianta ma nulla a che vedere con i dilaganti flagelli su citati. Inoltre la Paysandisia ha tempi molto più lenti, compiendo una sola generazione all’anno e a volte mettendocene anche due. Normalmente la larva scava le sue gallerie d’estate, addentrandosi nelle viscere della pianta dove passa i mesi freddi, poi risale in superficie quando sente alzarsi le temperature, s’incrisalida e a giugno eccola trasformata in una farfalla con abitudini diurne e pronta a deporre le uova. 
Oltre che abbastanza grande è anche parecchio attraente: le ali posteriori hanno tinte aranciate con macchie bianche e nere. Il dramma è che s’accanisce un po’ su tutte le palme, Washingtonia in testa, ma specialmente su quelle finora risparmiate dal punteruolo, tra le quali ci sono anche la bellissima palma di San Pietro (Chamaerops humilis), l’unica palma a crescere spontanea nel nostro Paese, e l’onnipresente Trachycarpus fortunei, la cosiddetta palma del Giappone. Per fortuna in Piemonte la Paysandisia non è arrivata, a quel che si sa: sarebbe un duro colpo per i nostri giardini, che di bizzarrie già se ne possono permettere ben poche. I trachicarpi, esuberanti testimoni di un eclettismo tardo-romantico a misura di climi freddi, non hanno finora mai dato cenni di debolezza, anzi: sono piante sulle quali si poteva star certi di contare, spartane e prolificissime, resistenti anche nelle condizioni più difficili.
Il tarlo asiatico A proposito di Piemonte è proprio da qui che è cominciata un’altra ecatombe in atto, ben più grave secondo gli studiosi, con protagonista un coleottero nero lucente puntinato di bianco e lunghe antenne striate. E’ chiamato tarlo asiatico (Anoplophora glabripennis) e le sue larve voracissime scavano, erodono, divorano il legno del tronco e dei rami principali fino a sfinire l’albero. La corteccia a ben guardare appare tutta microforellata, ma siccome hanno l’abitudine di cominciare la loro opera distruttiva dalla cima non è sempre facile accorgersene in tempo. Fino a che un giorno di colpo una grossa branca o peggio ancora l’intero albero vengono giù. Dalla Cina con furore pare sia giunta in Val di Susa, a Vaie, nel 2018 e subito dopo a Madonna dell’Olmo, nel cuneese, a bordo di alcuni pallet che trasportavano lastre di pietra provenienti dall’Estremo Oriente. 
Aceri e betulle sono le vittime preferite, ma ahimè non le sole: ippocastani, tigli, pioppi, salici, ontani, frassini e tante altre latifoglie hanno già mostrato attacchi. Per motivi di spazio ma non certo di esaustività pensiamo di dover interrompere qui il catalogo degli incubi entomologici e giardinieri del momento, rimandando a studi ben più specifici e scientifici per il necessario approfondimento sui singoli nemici.