Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  febbraio 07 Venerdì calendario

Intervista a Sofia Goggia

Gli abissi di Sofia: «Non ho mai avuto paura di fare salti nel vuoto, perché penso che la vita sia lì». Goggia come non ce n’è nessun’altra. Vola sempre in alto, la campionessa olimpica di discesa. «Mi basterebbe solo la metafora. Invece io mi prendo alla lettera, sono una complicata». Infatti: quando vince lo fa in modo strepitoso. Quando perde, anche. Stagione che qualcuno ha detto di crisi, per la bergamasca di 27 anni. Stando ai fatti, dopo tre anni a cavalcioni di ogni bene, compreso appunto l’oro nella libera a Cinque Cerchi in Corea del Sud, Sofi procede per risultati altalenanti: dopo un avvio opaco e insapore, il successo al superG di St. Moritz a metà dicembre lasciandosi alle spalle per un centesimo l’ininterrottamente smagliante Federica Brignone. Una settimana fa, con un tutore alla gamba destra per sciare dopo la botta rimediata cadendo nella libera di Bansko sei giorni prima, si è accomodata alle spalle della valdostana nel superG di Sochi, seconda a 20 centesimi. «E non avete notato il palindromo?
Sono risalita sul podio il 02/02/2020, 2 ª a 20 centesimi. Non so se ridere o preoccuparmi».
Dovremmo noi? Vigilia di Garmisch, assente quasi per certo Mikaela Shiffrin dopo la morte improvvisa del padre Jeff a 65 anni.
«Una stangata mostruosa. Io non so in che stato sarei». In Germania l’anno scorso Sofia esordì in Coppa del mondo un centinaio di giorni dopo la frattura del malleolo destro. Un ritorno con due secondi posti, nel superG e nella discesa, seguiti poi dalla vittoria in discesa a Crans Montana e dall’argento in superG ai Mondiali di Are.
Una definizione per la Goggia edizione 2019/2020?
«In evoluzione».
Ci spiega in che stadio si trova?
«In quello delle spalle al muro. Il migliore per me, quello che mi consente di dare il mio meglio. Anzi, di esprimere me stessa. Perché se c’è una cosa che procura sofferenza a un’atleta, è l’incapacità di rendere per quanto si vale. Io quest’anno ho vissuto proprio questo: in allenamento c’ero e ci sono, in gara quasi scompaio. La caduta a Bansko mi ha dato una sventola».
In che senso?
«Che dopo mi sono sentita sola. Ho saltato tutto il week end e poi sono andata direttamente a Milano con due mutande senza passare per casa per farmi preparare la protezione. Mi è stato chiesto se ne valesse la pena. Ho risposto di sì. Da lì sono volata in Russia. Il secondo posto sulla pista olimpica di Rosa Khutor, dove mai avevo sciato se non nelle finali di Coppa Europa, è arrivato perché ero alle strette. Col tutore che non sapevo come avrebbe reagito, visto che per il maltempo abbiamo sciato poco. E allora mi sono detta, ora mi butto: o la va o la spacca».
Una strategia che porta il suo marchio di fabbrica.
«La mia condanna, per l’esattezza. A Sochi non pensavo che sarei sopravvissuta al primo muro, non tanto per il dolore, ma per tutto l’incognito della situazione. Ho sciato in ritardo e all’arrivo ho fatto un gestaccio per dire che schifezza. Invece è bastato. Io sono una terrona: se vinco lo faccio senza bastoncino, se perdo è perché mi scatafascio».
Morale?
«Ogni cosa funziona ma non tutte le cose funzionano per sempre. Intendo dire che io ho sempre avuto una routine pazzesca, sempre molto uguale e sempre molto intensa, ma il problema è che mentre tutti i pezzi in questa fase della mia vita sono andati a posto, c’è qualcosa che ancora non torna. E quel qualcosa sono io. Il problema è che ho cercato di rientrare nei miei stessi schemi, invece non funziona più così, faccio quello che mi sento, non riesco più a farmi imbrigliare».
Non le darà fastidio che Brignone si è presa la scena?
«Capisco quello che Federica ha provato nei tre anni precedenti, quando io vincevo sempre. Non sono invidiosa del suo successo, merita tutto, sono più di 12 anni che lei è in giro in Coppa e si prende quello per cui ha lavorato e vale. Ed è un bene per tutti che ci sia un ricambio al vertice, che a turno possiamo passarci il testimone e il timone. Prenda Marta Bassino, così giovane, che è sbocciata e tiene alto l’onore della squadra, che è fortissima, e la cui chiave secondo me è il nostro allenatore Gianluca Rulfi, un uomo che porta serenità nel gruppo, risolve i problemi e guarda avanti. Per quanto mi riguarda, non si discute quello che valgo, non lo devo dimostrare, sono solo arrabbiata quando io non riesco. Come atleta sono cresciuta molto, ora devo crescere come donna. Sono in totale disequilibrio.
Ma se c’era un anno giusto per attraversare questo casino, era questo».
Prossime tappe del cammino?
«Guardare dentro questi miei abissi, profondi come voragini. Sono gli stessi che ho sempre avuto, anche a 14 anni, ma all’epoca guardavo oltre. Sono sempre gli stessi, e hanno a che fare con l’esistenza. Non posso più fare finta di niente, devo buttarmici dentro».