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 2020  febbraio 06 Giovedì calendario

Elogio inaspettato di Rula Jebreal

Non conoscevo la storia di Rula Jebreal. Perché lei non ha mai cercato di suscitare compassione raccontando di essere stata orfana nonché vittima collaterale di terribili abusi subiti dalla madre Nadia, la quale si diede fuoco al fine di sottrarsi alle vessazioni del suo aguzzino, non vedendo altra via d’uscita se non la morte. Sua figlia, Rula, ha deciso di narrare martedì sera, sul palco dell’Ariston, in un’occasione importante, queste vicende per la prima volta, e lo ha fatto con grande dignità: senza scendere nel dettaglio, senza soffermarsi troppo su se stessa e la tragedia che si porta dentro. Ce ne ha offerto pennellate scure, immagini, emozioni che ci hanno toccato l’anima. Forse allo scopo di non mettersi al centro di un discorso generale che riguardava tutte ledonne, in ogni parte del mondo. Sono state queste le protagoniste del suo monologo. Quindi tutte noi. Persino noi fortunate, noi che abitiamo in Paesi considerati civili, ma dove ancora oggi una fanciulla viene giudicata in base a ciò che indossa e cova un profondo senso di colpa e non si sente mai abbastanza carina, o magra, o intelligente, o capace, mai abbastanza meritevole di essere amata. paesi civili Paesi dove le signore sono libere, o possono esserlo se vogliono, eppure tale libertà spesso tocca loro sudarsela e pagarla cara, qualche volta addirittura con la vita. Rula è stata attaccata sia prima di calcare quel palcoscenico sia dopo averlo calcato con indiscutibile grazia. Qualsiasi parola avesse pronunciato la sera inaugurale del concorso canoro i suoi detrattori, i quali si oppongono alla sua presenza al Festival di Sanremo, erano già pronti a puntarle il dito contro, a rimproverarle ciò che ha affermato o ciò che non ha affermato. Il motivo per inveire e sputare odio, in fondo, si racimola sempre. C’è pure chi, pubblicando sui social network la fotografia di Rula accanto al produttore Harvey Weinstein, vorrebbe insinuare che ella sia una disposta a vendersi pur di emergere e la prova consisterebbe in quella istantanea. Poco conta che dall’intervento della giornalista trasparisse un’autenticità che difficilmente la televisione patinata ci consegna. Non recitava Rula allorché tratteneva le lacrime, quando la sua voce era rotta dal dolore, mentre ella ricordava quella mamma suicida che le è mancata. 
Era vera, e per questo ci è piaciuta. Ci è piaciuta pure perché ella rompe gli schemi: non è la soubrette giovane e avvenente, piazzata accanto ad un conduttore per deliziare gli occhi degli spettatori e fare la bella statuina. La sua bellezza infrange i canoni estetici dominanti, che impongono seni e sederi prosperosi, modellati dal chirurgo plastico, e trae la sua forza proprio dal garbo e dall’intelligenza. La sua partecipazione al Festival della canzone italiana è stata trasformata in una questione politica, era stata invitata, poi esclusa, poi richiamata, infine eccola lì, stupenda, ascoltata da tutti in religioso silenzio. Rula ci ha incatenati allo schermo e ci ha commosse in quanto ognuna di noi poteva ritrovare se stessa tra le righe del suo assolo. 
Dicono che l’oggetto fondamentale del monologo sia stato il femminicidio, tuttavia si tratta di una visione limitata. Il tema principale era proprio la libertà, il nostro bene più grande. «Lasciateci essere quello che siamo e quello che vogliamo essere: madri di dieci figli oppure madri di nessuno, casalinghe o in carriera. Siate i nostri complici, i nostri compagni. Indignatevi insieme a noi quando qualcuno ci chiede: lei cosa ha fatto per meritare quello che le è accaduto?». È questo il passo saliente del discorso della giornalista. Oggi le ragazze possono scegliere se sposarsi o meno, se fare figli o meno, se investire tutte se stesse nel lavoro che amano oppure dedicarsi in modo esclusivo alla famiglia, eppure ancora con difficoltà si accetta che una trentenne o su di lì non abbia un compagno e non abbia procreato.
Si ritiene che la funzione del nostro genere sia la perpetuazione della specie, quindi chi si sottrae a tale dettato sociale è inutile, sebbene il contributo che ciascuna di noi può dare alla società non si esaurisca nell’atto del partorire. Si è saputo soltanto ieri che la giornalista Selvaggia Lucarelli ha collaborato alla stesura del discorso di Rula, la quale le avrebbe chiesto un confronto. È questo ciò che dovrebbero imparare a fare le donne, ossia sostenersi, supportarsi, essere solidali tra loro e fare squadra, cosa che da sempre risulta facile agli uomini. Perché la nostra unica vera debolezza è insita nella mancanza di solidarietà nei confronti del nostro medesimo genere.