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 2020  febbraio 06 Giovedì calendario

L’educazione italiana di Peter Buttigieg

«Ma abbiamo capito bene? Davvero rischiamo di vederti alla Casa Bianca?». Seduto su una panchina di Villa Borghese, nello stupore generale, Joseph Buttigieg si lasciò andare a una delle sue inconfondibili risate, una fiammata di energia capace di illuminare tutte le stelle dell’universo. Pete, suo figlio, erede di Barack Obama, John Kennedy e, per farla più monumentale, di George Washington? Gli occhi allungati ridotti a fessura, nella bella faccia dall’incarnato mediterraneo: «Ma riuscite a immaginarmi sotto il timpano neoclassico? Mi sembra impossibile…». Non era da lui prendersi troppo sul serio. Era un uomo di mare, cresciuto nell’isola di Malta. Abituato ai cambiamenti repentini del vento.
Per entrare nel mondo segreto di Peter Buttigieg, il giovane aspirante alla presidenza americana, bisogna passare attraverso la figura del padre, un professore che per svariati decenni è stato una bussola preziosa nelle agitate acque degli studi su Antonio Gramsci. La prima fotografia li ritrae insieme a Chicago nei primi anni Novanta: Joe è il traduttore dei Quaderni dal carcere nell’edizione americana, un lavoro mostruoso che poteva essere esibito come luccicante medagliere accademico e che invece si nascondeva tra le pieghe di una formidabile ironia; Anne Montgomery è una simpatica signora dai capelli ricci, anche lei docente all’Università Notre Dame di South Bend, la cittadina dell’Indiana dove i Buttigieg vivono. E poi c’è Pete, un bambino di dieci anni slanciato e sottile, gli occhi vispi sul genere “Agenzia Nullasfugge”, e una sequela implacabile di domande. Tra loro un’ironia affettuosa che non punge né ferisce. Una famiglia intellettuale radical, che forse si distingue da molte altre per un tratto di quieta allegria.Era proprio la misura a caratterizzare il profilo interiore di Joe Buttigieg, la capacità di trovare un punto di equilibrio nelle asimmetrie dell’esistenza. Sapeva sempre cosa fare e dove stare. E questo valeva sia all’interno della tribù gramsciana, in Italia litigiosa solo come sanno esserlo i clan di sinistra, sia nella dimensione più vasta delle relazioni umane. Il suo era un talento naturale che prescindeva dalla sterminata cultura manifestata nella lunga ricerca su Gramsci. O forse si nutriva anche dell’antica consuetudine con il carcerato sardo. Con questo codice morale si è formato il giovane Pete, vicino a un padre capace di riconoscere d’istinto miseria e nobiltà, sciatteria e rigore, opportunismo politico e lealtà, senza ergersi a giudice supremo ma incline a stemperare le zone d’ombra nella risata contagiosa. Mai dogmatico o dottrinario, ma sempre fedele a una sinistra democratica sensibile ai temi dell’eguaglianza, dei diritti sociali, dell’apertura verso le minoranze.
Pete ha cancellato dal suo lessico politico tracce di un’educazione gramsciana, anche per ripararsi dall’ossessione anticomunista dei suoi rivali. Ma forse il primo insegnamento del padre va rintracciato proprio in quel binomio imprescindibile tra politica e cultura che è il cuore del pensiero di Gramsci. Non può esistere una grande politica senza una grande visione. E non può esserci una grande visione senza una strumentazione intellettuale che ti permetta di interpretare il “mondo grande e terribile”. Con un’avvertenza: per rappresentare degli ideali, bisogna crederci. E Pete sembra aver assorbito l’eredità sentimentale del padre.
Più che della brillante carriera universitaria di quel figlio genietto – laurea ad Harvard dove fa amicizia con Mark Zuckerberg, master a Oxford – Joe amava raccontare dei loro viaggi a Malta, dove li aspettava la grande e avvolgente famiglia Buttigieg, molto cattolica e molto unita (a proposito: si pronuncia Bù-ti-gidg, con accento sulla prima sillaba). Il mare, la barca, il gioco imprevedibile dei venti: là Joe sembrava ritrovare insieme al suo ragazzo il sapore delle avventure marine che aveva perso nella nuova vita nell’Indiana. Ma non bisogna immaginarli immusoniti nella casa americana di South Bend: una fotografia su Facebook li ritrae concentratissimi davanti al videogioco Baseball Stars, con la didascalia di Pete: «Cosa non darei per un’altra partita insieme. Ti voglio bene papà».
Con la stessa serenità con cui aveva vissuto, Joe ha accolto l’omosessualità del figlio, un lungo abbraccio in silenzio e le mani tese verso il compagno Chasten Glezman, anche lui insegnante. E con lo stesso passo leggero s’è accomiatato un anno fa, al termine di una malattia fulminante: «È stato un bel viaggio», ha detto sorridente a Pete ed Anne, la sua personale costellazione. Sì, un bellissimo viaggio. Peccato che non abbia potuto godere del suo imprevedibile finale