Il Messaggero, 6 febbraio 2020
Che fare con l’altorilievo antisemita a Wittenberg?
Wittenberg è la città di Martin Lutero, «il contadino sassone che dopo essere stato monaco agostiniano diede avvio alla Riforma protestante», come scrive lo storico William Shirer. Nella chiesa di Wittenberg nel 1517 vennero affisse le 95 tesi di Lutero contro la corruzione della chiesa di Roma, dalle quali nacque la Riforma. E sempre lì per la prima volta nella storia, la messa in latino fu sostituita dalla messa in tedesco. Sui muri della Stadkirche di Wittenberg spicca ancora un bassorilievo controverso, la Judensau, la Scrofa degli ebrei, scolpito nel 1305 in pieno Medioevo, e oggi considerato fortemente offensivo per la nostra sensibilità post Shoah.
LA CARICATURA
Quell’altorilievo rappresenta una scrofa che allatta dalle mammelle due ebrei inginocchiati sotto di lei, mentre un rabbino tenendola per la corda le alza la gamba destra, e un altro sullo sfondo si curva a cercare il Talmud sotto di lei. È una caricatura dei costumi degli ebrei, che com’è noto hanno il divieto di consumare carne di maiale. Una caricatura un tempo popolare nei paesi e nelle chiese di lingua tedesca, prodotta nei secoli bui, quando l’antigiudaismo cristiano imperversava. Lutero stesso, del resto, ardente antisemita e antiromano, è autore di vari scritti antigiudaici. Nel 1543 pubblicò un trattato, Von den Jüden un Ihren Lügen (Degli ebrei e delle loro menzogne), in cui predicava la distruzione di sinagoghe e scuole ebraiche e la confisca di beni e proprietà. In un altro trattato pubblicato nel 1553, Vom Schem Hamphoras (nome rabbinico per indicare il tetragramma l’ineffabile nome di Dio) descriveva dettagliatamente quel bassorilievo della chiesa di Wittenberg, equiparando gli ebrei, popolo eletto «al popolo del diavolo». E per gli storici oggi è assodato che i nazisti tra le due guerre abbiano ampiamente attinto agli scritti virulenti contro gli ebrei, opera del padre della Riforma.
LA SENTENZA
La scultura della chiesa di Wittenberg del resto è sempre stata controversa. Per rispondere alle proteste contro lo scandaloso altorilievo, nel 1988, in occasione del 50esimo anniversario della Kristallnacht (il pogrom antiebraico voluto da Joseph Goebbel che causò la distruzione di migliaia di sinagoghe, luoghi di culto, negozi e case di ebrei, alla morte e alla deportazione di decine di migliaia di ebrei) venne aggiunto nella Chiesa di Wittenberg un memoriale in ricordo dei sei milioni di ebrei sterminati dai nazisti. Oggi però la richiesta di uno dei membri della locale comunità ebraica di rimuovere quella scultura è stata cassata. Una sentenza del tribunale di Naumburg ha infatti stabilito che quell’altorilievo medievale appartiene a un edificio che è un sito dell’Unesco e pertanto non può essere rimosso. La decisione può sembrare scandalosa e invece è in linea con la strategia tedesca della memoria.
IL RUDERE
A Berlino, infatti, al centro del cuore commerciale della città, svetta la guglia spettrale della Gedächtinis Kirche, che oramai è un moncone di quella che fu la monumentale chiesa in stile neoromanico costruita dall’imperatore Guglielmo II in memoria di suo nonno e distrutta nel novembre del 1943 da un bombardamento alleato. I tedeschi l’hanno ribattezzata der hohle Zahn, il dente cavo, e hanno voluto lasciarla così, costruendo sì una nuova chiesa in vetro, acciaio e cemento, ma trasformando quel rudere nel simbolo imperituro di un passato che non passerà mai, eterna memoria non più delle grandezze dell’impero, ma della violenza tragica dell’ultima guerra.
In questo senso, dai tedeschi c’è da imparare. A qualche isolato di distanza, non lontano dalla Postdamer Platz, che un tempo era l’epicentro del potere e del terrore del regime nazionalsocialista, oggi c’è uno dei luoghi più visitati della Germania. È la area della così detta Topografia del terrore. Dove durate il nazismo c’erano le sedi della Gestapo, con annesso carcere, del Comando generale delle SS, del Servizio di Sicurezza delle SS e durante la guerra la Direzione per la Sicurezza del Reich, oggi c’è una mostra permanente che si sviluppa in un percorso integrato con alcuni resti del muro di Berlino, fatto di 15 stazioni, per raccontare ai visitatori e ricordare ai berlinesi la presa del potere di Hitler, le istituzioni del terrore, la persecuzione e l’annientamento in Germania e nei territori occupati durante la seconda guerra mondiale, e la fine della guerra e il dopoguerra.
LA VOLONTÀ
Nessuna rimozione, nessuna pietà per i crimini nazisti. Ma la strenua volontà di ricordare, ma di rimettere al centro città la memoria di un passato tragico che non deve passare. Noi che in Italia cincischiamo sull’opportunità di cancellare la scritta DUX dagli obelischi del Foro Italico eretti durante il Fascismo, e che per non offendere la comunità islamica vorremmo addirittura cancellare l’affresco di Maometto seviziato e percosso da demoni feroci dipinto nel quattrocento per la Cappella Bolognini della Basilica di San Petronio a Bologna, dovremmo inchinarci di fronte all’equilibrio dei tedeschi. Distrutta Berlino, sconfitto il nazismo, crollato il Muro, non solo rispettano i luoghi, ma li restituiscono alla memoria nella loro spettrale verità. Come se la liberazione del passato potesse avvenire solo con la piena, ancorché sofferta, accettazione della storia.