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 2020  febbraio 05 Mercoledì calendario

La ricercatrice che isolato il virus ha 67 anni

Nata a Procida 67 anni orsono, Maria Rosaria Capobianchi, capo del laboratorio di virologia dell’Istituto Nazionale Malattie Infettive dell’ospedale Lazzaro Spallanzani di Roma, ha trascorso l’infanzia a Terra Murata, suggestivo centro medievale arroccato sul mare. La mamma era maestra elementare, il babbo marittimo. Una famiglia umile e genuina, come quelle di una volta, che riconosceva il valore fondamentale dell’impegno e dello studio, tanto che Maria Rosaria, alla quale non bastava circumnavigare la sua amata isola a bordo della canoa, si mise in testa di dedicarsi all’indagine scientifica al fine di dare risposta a tutte le domande che la incuriosivano e rendersi utile agli altri, – perché no? – all’umanità intera. Dunque conseguì brillantemente una laureata in scienze biologiche e poi una specializzazione in microbiologia, intraprendendo una carriera che l’ha portata a dirigere un laboratorio prestigioso nonché ad essere conosciuta come una delle tre ricercatrici italiane che hanno isolato il coronavirus, aprendo la strada al vaccino contro la malattia più temuta a livello mondiale nelle ultime settimane. Maria Rosaria sembra una di quelle donne ormai in estinzione la cui ricchezza risiede in una semplicità incantevole e persino rassicurante. Non si sforza di essere a tutti i costi piacente, come la stragrande maggioranza delle donne contemporanee, non ama i fronzoli e le frivolezze, possiede una elegante e sobria femminilità, tiene i capelli corti e ordinati, porta gli occhiali e sfoggia un sorriso luminoso mentre posa accanto al ministro della Salute Roberto Speranza, insieme alle sue colleghe che «cullandolo», con grazia e delicatezza, hanno messo in isolamento il terribile virus, fottendolo. 

SPALLE LARGHE 
Eppure la grandezza di questa signora – ed uso questo bellissimo termine, “signora”, sebbene oggi sia considerato addirittura oltraggioso – è concentrata nel suo cervello. Cinquant’anni fa per una fanciulla, peraltro del Mezzogiorno, dove era radicata l’idea che ai maschi toccasse il diritto esclusivo di apprendere e non anche alle femmine, non era affatto facile farsi spazio in un mondo prettamente mascolino, quello scientifico. Maria Rosaria deve avere avuto le spalle e le ossa forti, tanto che oggi alle soglie dei settant’anni è ancora al suo posto e fa pure parlare di sé. Ella è una di quei «giovani anziani» che popolano la nostra penisola e che continuano a lavorare, a prodigarsi, ad essere risorse preziose di una società in cui – paradosso – i nonni vengono esclusi come fossero virus, ghettizzati, messi da parte, accusati di essere i responsabili di crisi economiche, debito pubblico, disoccupazione ed inefficienze di ogni tipo. I cosiddetti «giovani anziani» hanno un’età superiore ai 65 anni e, per il notevole contributo che apportano alla comunità, rappresentano la spina dorsale della società stessa: si occupano dei nipoti, mantengono i familiari, fanno volontariato, sgobbano. E forse per via di questa esistenza attiva si mantengono freschi e in salute, oltre che longevi. La classe politica, purtroppo, non soltanto è complice del processo di criminalizzazione messo in atto nei confronti dei vecchi, bensì favorisce addirittura la diffusione di una cultura che invece di riconoscere diritti agli anziani, peraltro in aumento, li depriva dei diritti stessi, instaurando una sorta di guerra tra generazioni, uno scontro tra chi si è da poco affacciato alla vita e chi si accinge a salutarla. Un conflitto che fino a qualche anno fa non c’era, in quanto i nonni erano considerati il baluardo dell’unità familiare, depositari di saggezza, consigli e conoscenza storica, fonte di amore e protezione. Oggigiorno, invece, essi sono diventati ladri di pensioni, di futuro, di impieghi e di pane, parassiti sociali di cui liberarsi. E, secondo il comico Beppe Grillo, nonché qualche esponente di sinistra, sarebbe il caso di togliere loro la facoltà di voto, dunque il diritto di essere rappresentati all’interno delle istituzioni, facendo finta che non esistano. 

CONTA LA PERSONA 
Insomma, una donna come Maria Rosaria, a giudizio di qualche stolto politicante, sarebbe opportuno che non si recasse alle urne, poiché quasi settantenne. Ha fatto il suo tempo, toglietele il certificato elettorale: ella è in grado di isolare un virus, di salvarci la pellaccia, tuttavia non sarebbe in grado di votare, al contrario dei sedicenni, a cui si vorrebbe attribuire il diritto di esprimere preferenze. Quella che abitiamo è una società che ci vuole gli uni contro gli altri. Oltre allo scontro generazionale, si è inasprito pure quello tra i generi, per cui da un lato ci sono le donne; dall’altro gli uomini, i quali vengono tacciati di sessismo persino allorché pronunciano, in buonafede, la più innocua delle parole o porgono un educato complimento. Ci siamo dimenticati di essere persone, prima che maschi o femmine, giovani o vecchi in lotta tra loro al fine di aggiudicarsi primati e supremazia. Ed il valore di un individuo non si misura in base alla data di nascita o al sesso, bensì sulla base delle sue azioni, del suo operato, dei risultati che consegue. Magari si potesse isolare pure il virus del pregiudizio. Quello sì che sarebbe un gran bel progresso.