ItaliaOggi, 5 febbraio 2020
All’asta il museo dell’erotismo di Berlino
Un segno del tempo che passa. Sono andati all’asta i pezzi esposti all’Erotik Museum di Beate Uhse a Berlino. Confesso di non averlo mai visitato, ma avrei dovuto. Dal catalogo, gli oggetti della signora, che spiegò il sesso ai tedeschi e si arricchì, ricordano almeno in parte quelli della collezione di un vecchio zio un po’ licenzioso. Più nostalgia che perversione. Frau Beate voleva che i suoi negozi entrassero senza problemi anche le donne.Al museo, aperto il 19 gennaio del 1995 vicino alla stazione dello Zoo, due piani per 1.800 mq, espose anche la multa ricevuta in Florida per essere apparsa in monokini nei lontani e sfrenati anni Sessanta. Il museo fu chiuso nell’agosto del 2014, e in settembre chiuse l’annesso e superstite sex shop. L’ultimo anno aveva denunciato una perdita di un milione e 200 mila euro. Non attirava neanche i turisti della più sperduta provincia europea. Ormai, secondo i sociologi, un adolescente consuma in una settimana più materiale pornografico di quanto riusciva a usufruire un erotomane della Belle époque. Presumo che la visita al museo fosse alla fine più melanconica che eccitante.
Alla casa d’aste Historia, il primo dei 500 pezzi, una cartella con alcuni disegni, è stato conquistato da un cliente italiano per 1.200 euro. Niente di molto costoso, il record è stato raggiunto con un quadro battuto per 10 mila euro. Con qualche centinaio di euro si poteva acquistare una statuetta in porcellana, non di Meissen naturalmente. Biancheria intima fuori moda e gadget erotici sono stati disputati da collezionisti americani o giapponesi via internet. La collezione del museo fu valutata vent’anni fa 3 milioni e 600 mila Deutsche Mark, circa un milione e 800 mila euro. Tra i pezzi più pregiati, disegni di George Grosz, un boccale fallico del 1600 e, per gli amanti delle curiosità, marche usate nei bordelli cinesi dell’Ottocento. Il banditore Michael Lerberger, 56 anni, non ha comunicato quanto abbia reso l’asta.
Beate Uhse, scomparsa nel 2001, era nata nel 1919 in Prussia orientale. Sua madre fu una delle prime donne laureate in medicina e parlò liberamente di sessualità con la figlia. Lei divenne la prima pilota professionista nel III Reich, e sposò il suo istruttore. Nel dopoguerra, si rese conto che le donne tedesche erano del tutto ignoranti in fatto di controllo delle nascite (Hitler voleva che «fabbricassero» figli per il Reich). Stampò al ciclostile una brochure di 4 facciate e la offrì in vendita per corrispondenza a 50 centesimi. Un successo straordinario, 32 mila copie vendute, la prima pietra del suo impero del sesso. Nel 1951 cominciò da Flensburg la vendita per corrispondenza con quattro impiegati per prodotti di «igiene sessuale», manuali e preservativi. Due anni dopo, i dipendenti erano 14. All’inizio degli anni Sessanta, la «Beate Uhse» aveva cinque milioni di clienti, nonostante duemila denunce di probi cittadini contro il suo commercio immorale. Il sesso doveva essere una «merce» senza crisi: Beate Uhse aprì centinaia di sex shops, in Germania e all’estero.
L’azienda cominciò a perdere colpi a causa della «rivoluzione sessuale», ma nel 1989 cadde il muro a Berlino. E quella notte, i tedeschi orientali si precipitarono davanti alle vetrine dei suoi sex shops. Il capitalismo apriva le porte al paradiso o all’inferno dell’erotismo. Beate trovò milioni di nuovi clienti nell’Europa orientale. Nel 1999, l’azienda venne quotata in borsa: prezzo d’emissione 7,20 marchi, quattro giorni dopo ne valevano 28. Nel 2007, l’impresa aveva 1.425 dipendenti e un giro di affari di 271 milioni di euro. Alla fine, la quotazione fu di 0,0065 euro, una perdita del 99,9%. Le azioni, con l’immagine di una donna nuda e un’altra in biancheria rossa, valgono di più se vendute come antiquariato. Nel 2017, il fallimento. I sex shop senza volgarità di Frau Beate non hanno retto la concorrenza di internet.